1992 – 2022 Esattamente trent’anni fa Tangentopoli a Salerno Per i cinesi il 1992 fu l’anno della Scimmia. La scimmia, nell’oroscopo cinese è il segno zodiacale del genio creativo e inventore, insomma, dell’intelligenza. Per il mondo occidentale il nuovo anno era un numero come un altro. Ma l’oroscopo cinese è infinitamente più antico e, almeno per l’Italia, per il 1992 ci azzeccò in pieno. Fu l’anno dell’intelligenza per la Giustizia. All’improvviso, come una rivoluzione della coscienza, nello stile del 1968, non le masse popolari, ma una ristretta categoria di professionisti tradizionalmente schiva e apparentemente asettica come una equipe operatoria. Aprì gli occhi vedendo quello che tutti già sapevano senza capacità di intervenire. Fu una rivoluzione a catena, partita a (e da dove, sennò) dalla Procura di Milano. Nella città risorgimentale per eccellenza, la forza della Giustizia colpì la corruzione dell’intero sistema politico ed economico italiano con l’entusiasmo e l’inventiva delle barricate delle 5 giornate del 1848. La primavera di quell’anno vide una nazione inquieta e stordita dal potere dei giudici, arbitri loro malgrado, di un cambiamento epocale per le istituzioni, a partire dal Parlamento. L’onda milanese dilagò nel resto della penisola a macchia di leopardo. Roma, definita da sempre il “porto delle nebbie”, rimase abbastanza neutra sul fronte delle inchieste. Singolarmente, invece, città meridionali per consuetudine sonnacchiose e consociative, ebbero un ruolo di primo piano nel panorama della rivoluzione giudiziaria. Ad esempio Foggia, dove l’azione dei sostituti Lucianetti e D’Amelio aprì squarci insospettati nelle collusioni pugliesi. Ma c’è da dire che quei sostituti erano stati, prima che a Foggia, magistrati della Procura di Milano, acquisendone, inevitabilmente, la mentalità progressista e le capacità critiche. E ci fu Salerno, nel Meridione solatio, a fare notizia su scala nazionale. Perché c’era un nucleo di sostituti, irrobustito da presenze di qualità tra l’intero corpo giudiziario, irrobustito da anni di assemblee coraggiose dell’Associazione Nazionale Magistrati tenutesi sul filo teso della contestazione a tutti i poteri forti, a partire dalle apatie conformistiche dei vertici giudiziari. Diversi di quei magistrati (tra cui chi scrive) avevano iniziato le loro carriere a Milano. Avremmo presto occasione di ricordare i nomi di alcuni di quei giudici eccezionali (l’anno che verrà sarà lungo per Salerno e molto accadrà!). Occorre invece ricordare un nome dimenticato di quel tempo. Il procuratore della Repubblica Giuseppe Rizzo. Era stato un civilista stimato da tutti, chiudendo poi la carriera come Procuratore Capo. Da giovane, la sua vicinanza al pensiero progressista gli aveva portato le attenzioni della polizia politica quando era diventato magistrato. Una volta, in un fascicolo riservato della Questura, trovai le note di un maresciallo dei carabinieri che definiva il neo-magistrato Rizzo come persona da sorvegliare perché sospetto Comunista. Bene, quanto sospetto comunista degli anni della polizia reazionaria di Scelba degli anni 50 ebbe nell’anno della scimmia 1992, l’intelligenza di capire la svolta che la nazione stava affrontando. Ed ebbe l’intuito creativo di formare quel nucleo di pubblici ministeri che ribaltarono l’opprimente cappa di connivenze politiche ed economiche che soffocavano la vita amministrativa di Salerno. L’anno 1992 fu l’anno del processo, passato alle cronache, della Fondovalle Calore. Il progetto di una strada a scorrimento veloce dell’importo di spesa previsto in 300 miliardi di lire di allora. Le indagini scoprirono la rete di rapporti tra politici, tecnici ed imprese sul modello classico (e purtroppo ancora persistente) delle intese reciproche e degli scambi di favori; un modello in cui maggioranza e opposizione facevano battaglie finte tra loro, per poi accordarsi e creare carriere e fortune economiche. La Fondovalle Calore, processo imponente con arresti distribuiti in tutto l’arco costituzionale, vide la conferma delle accuse fino alla Cassazione. Un tentennio è passato. L’Italia è cambiata profondamente, forse in peggio. Ma quella lezione preziosa data dalla Giustizia a una provincia solatia e balneabile come la nostra, purtroppo non ha avuto molto molti discepoli. Il tramonto dell’epopea di Tangentopoli ha portato in soffitta le tecniche di intuizione e di costruzione di un linguaggio politico antitetico all’ovvietà e alla farraginosità delle costruzioni politiche attuali, spesso prive della semplicità solida ma acuta dei processi di Tangentopoli di allora. Peccato che alle nuove generazioni di MOT (i giovani magistrati in tirocinio) non venga insegnata la storia e la tecnica creativa dell’anno della “scimmia”. Michelangelo Russo
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