Giacinto Romano nacque il 26 ottobre 1854 a Eboli, dove frequentò le scuole primarie. Conseguita la maturità liceale a Salerno, si iscrisse alla facoltà di Lettere a Napoli, avendo come professori Settembrini, De Blasis e De Sanctis. Conclusi gli studi universitari, pubblicò “Relazioni tra l’Italia meridionale e Tunisi sotto i Re Normanni, Svevi ed Angioini”, raccolta di documenti con un’indagine condotta su un gran numero di cronache latine ed arabe. Tra i personaggi storici trattati, Federico II di Svevia era presentato come “precoce e splendida manifestazione del mondo moderno, il primo a rompere le barriere del Feudalismo, riuscendo a far convivere in pace credenti e non credenti, cristiani e maomettani insieme. Il principe che combatteva la Chiesa in nome della ragione, che proclamava la libertà dei culti, emancipava i servi, proteggeva la scienza e la poesia, e dava asilo a coloro cui la Curia romana aveva tolto l’indipendenza e la patria”. A ventisette anni, Giacinto Romano pubblicò “Bricciche di Storia Calabrese” sulla prigionia e morte di Gioacchino Murat. Fin da giovane, si caratterizzò per il suo metodo storiografico basato su un’analisi minuta, rigorosa e paziente. A riguardo, scriveva: “La storia non immagina, essa vede solamente; e però l’investigazione non può avere altro obiettivo che i fatti in quanto risultano da documenti certi. Lo studio delle fonti è, perciò divenuto parte essenziale della critica storica e principale fondamento di ogni investigazione scientifica.” Chiamato alla cattedra di storia moderna all’università di Messina, nel 1896, ritornò agli studi di storia meridionale scrivendo una delle sue opere più importanti: “Messina nel Vespro siciliano”. Da quest’opera si apprende quale ruolo questa città ebbe nel periodo normanno-svevo, quali le condizioni della popolazione, il suo ordinamento amministrativo e, quantunque favorita da Carlo d’Angiò e in contrasto con i suoi più vitali interessi, Messina finì con l’associarsi al moto dei Vespri. Trasferitosi a Pavia, nell’ultimo decennio dell’800, il suo principale oggetto di investigazione fu rivolto alle fonti della storia “Viscontea” per gran parte ancora sconosciuta. Corresse e rischiarò il giudizio su Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano, penetrando nella sua vita politica accorta, audace e perseverante che ne fece il vero fondatore dello stato dell’Italia Settentrionale. A suo giudizio, il duca Visconti “ad onta dei suoi delitti e delle sue colpe, fu il più grande politico del tempo e lasciò nell’arte tracce incancellabili della sua splendida magnificenza; unico in Italia, in mezzo allo spettacolo di lotte fratricide quotidiane, procurava all’orgoglio nazionale la soddisfazione di due battaglie vinte su gli stranieri”. Agli studi viscontei si annoda una delle maggiori opere del Romano, 650 pagine intense di avvenimenti poco conosciuti sulla biografia di Niccolò Spinelli di Giovinazzo. La pertinace raccolta di documenti proveniente da varie città italiane e della Francia, gli permisero di raccontare ampiamente la vita del personaggio che si intreccia con i principali avvenimenti italiani della seconda metà del Trecento. Romano mostrò che nel Trecento, non ancora nata la nuova scienza politica, si formasse un diplomatico di professione, individuando e dimostrando come Niccolò Spinelli era ritenuto un vanto per il Mezzogiorno d’Italia che aveva prodotto il primo dei grandi diplomatici dell’Europa moderna. Dopo questo fecondissimo decennio (1889-1899) e la voluminosa biografia sullo Spinelli, finita di stampare nel 1901, la produzione di Giacinto Romano sembrò diventare meno copiosa. In realtà lo storico era impregnato a lavorare ad un’opera di grandi proporzioni “Storia politica d’Italia, scritta da una società di professori”, che coordinò con Gaetano Salvemini ed a cui aderirono, tra gli altri, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il suo impegno si concentrò sulle “Dominazioni Barbariche: sintesi della storia politica italiana nel periodo che andava dal 395 al 1024”, oltre sei secoli tra i meno conosciuti della storia del Paese. L’opera “magna” fu pubblicata nel 1909 con un’esposizione ordinata, limpida, efficace, l’espressione delle ipotesi ed il giudizio personale. Tra i temi storici trattati, il Romano dimostrò come fosse improprio parlare di rovina dell’Impero Romano e calendarizzare con il trattato di Verdun dell’842 la fine dell’Impero carolingio e il principio della distinzione delle tre nazionalità francese, tedesca ed italiana. In questa grande opera espone e spiega come l’autorità spirituale del Papa si mutò in sovranità civile. Il tema fu trattato per la prima volta sinteticamente nel discorso da lui pronunciato all’inaugurazione dell’anno accademico nell’Università di Pavia il 3 dicembre 1904. Romano riassume, interpreta e severamente giudica quattro secoli di storia del papato. Altra opera ad ampio respiro fu “Gli studi di storia moderna negli ultimi cinquant’anni” pubblicata nel 1912. Negli ultimi anni entrò nella vita pubblica pavese dove fu eletto due volte consigliere comunale e ricoprì la carica di assessore all’istruzione e, per un breve periodo, di prosindaco. Morì a Milano il 7 febbraio 1920. Il giorno dei funerali, Ettore Rota, suo allievo prediletto, disse: “In tempi nei quali la Scuola universitaria pareva ridotta a una fucina di pura erudizione senz’alito di vita né fiamma di passione, Giacinto Romano seppe essere prima di tutto e soprattutto un maestro nel senso classico e umano della parola.” Tra i lavori della sua scuola di insegnamento merita di essere ricordata l’edizione del “Carmen” di Pietro da Eboli: l’affetto per la sua città natale lo indusse a proporre ad un suo discepolo la ristampa e l’illustrazione del poema. Il 16 maggio 1920, Eboli onorò uno dei suoi illustri figli con un evento commemorativo, alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione e dei Rettori di Napoli, Pavia e Roma. A Giacinto Romano è intitolata una strada nel borgo antico e un Istituto scolastico comprensivo che sorge al centro della sua città natale. Vito Leso
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1 Commento
Non conoscevo la storia di questo grande storico.
Grazie a questo articolo esauriente, con meraviglia e gioia, ora posso leggere qualche opera storica veramente interessante.
Grazie a Vito Leso.