1500 morti di baby sportivi. Santomauro: fate presto - Le Cronache Ultimora
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1500 morti di baby sportivi. Santomauro: fate presto

1500 morti di baby sportivi. Santomauro: fate presto

di Resistenze Quotidiane

Bisogna fermare la strage silenziosa di bambini, adolescenti e giovani colpiti da morte improvvisa aritmica. Parliamo dell’arresto cardiaco, che uccide in Italia circa 1500 giovanissimi ogni anno, il più delle volte nel corso delle attività sportive. Lo sport, infatti, può rivelarsi un acceleratore di meccanismi patologici che sono già presenti nel cuore in maniera silente. Si tratta di tragedie quotidiane in gran parte evitabili, perché sulle patologie che le determinano esistono ormai  imponenti studi scientifici e conoscenze decisive acquisite dalla Cardiologia negli ultimi decenni; conoscenze purtroppo non utilizzate per ritardi che, con il passare del tempo, appaiono inquietanti. Il professore Maurizio Santomauro, cardiologo insigne e consulente aritmologo della Clinica Mediterranea, per quarantadue anni figura di riferimento presso il Policlinico universitario di Napoli dove, dopo il recente pensionamento, continua ad essere docente presso la Scuola di specializzazione cardiochirurgica, è da anni impegnato su questo fronte e non si dà pace.

Professore, ma è possibile che il sistema regolatore dello sport sia ancora fermo a una legge superata del 1982? Parliamo di quarantadue anni fa.

Sì, le cose stanno così. Fino al 1982 l’Italia non era dotata di un sistema regolatore relativo alle attività sportive. Poi, quarantadue anni fa, con la legge alla quale lei fa riferimento, vi fu un considerevole passo in avanti e si registrarono buoni risultati. Furono scoperte situazioni patologiche in molti giovani atleti che si avviavano all’attività agonistica. Una normativa più o meno in linea con quella europea e per alcuni aspetti addirittura competitiva. Tra gli esami previsti, c’erano la spirometria, l’esame della vista, l’esame delle urine e la valutazione clinica del grado di tolleranza allo sforzo fisico effettuata nel corso dell’esame E.C.G., mediante master step-test (prova sotto sforzo, salendo e scendendo dai gradini o pedalando per un tempo prestabilito sulla cyclette). Esami che oggi, con le conoscenze che abbiamo acquisito, possiamo ritenere inadeguati e, in qualche caso, rudimentali.

Già negli anni passati, vi era una prevenzione diversa tra i giovani dediti alle attività agonistiche amatoriali e i più fortunati iscritti a società professionistiche?

Certamente, le società professionistiche accertavano con maggiore scrupolo le condizioni fisiche degli atleti, perché non potevano esporsi al rischio, specie nel calcio, di acquisire al patrimonio societario giovani che potevano risultare ammalati. Ed è questo il motivo per il quale i grandi club, al di là delle previsioni della legge, integrano gli accertamenti sanitari previsti dalla vecchia legge con ecocardiogramma, prova da sforzo e, nei casi sospetti, con risonanza cardiaca, tac coronarica ed esame genetico. Al di là di questo, dobbiamo considerare che nel 1982 non c’erano le tecniche di oggi, la genetica era agli albori e gli atleti non venivano sottoposti ad indagini preventive adeguate. Consideri che scoprire, ad esempio, malattie congenite ereditarie non è e, a maggior ragione, non era affatto facile, quindi molte patologie si rivelavano purtroppo “in corso d’opera”.

Beh, ora è chiaro il motivo per cui a Villa Stuart, l’istituto dello Sport che emette certificazioni di idoneità agonistica, le griglie sono molto strette.

Non è un mistero che l’interesse delle società alla perfetta salute dei propri atleti è molto legato ai risvolti economici di quegli assetti. Il problema vero, invece, riguarda i circa due milioni di atleti che non rientrano in questa rosa di privilegiati e per i quali il rischio di aritmie gravi e spesso fatali è sempre in agguato.

Com’è possibile che in quarantadue anni non sia stato fatto niente?

Sono stati fatti dei tentativi, purtroppo senza esito. Nel 2017 il ministro Balduzzi, che era un esperto di diritto costituzionale della salute e di diritto sanitario, si adoperò per migliorare la legge del 1982. Tra le altre cose prevedeva esami già da bambini, senza aspettare i sei anni, e introduceva, per gli atleti, il test da sforzo con cicloergometro (“bicicletta”) o con treadmill (“pedana mobile”). Dopo sei mesi, il decreto decadde senza essere convertito in legge. Motivo? Problemi economici, misure non compatibili con la finanza pubblica. Ad opporsi, ricordo, furono due parlamentari del Partito Democratico. Un altro tentativo fu fatto dal deputato napoletano del PD Paolo Siani, che è un medico. Il suo disegno di legge, radicalmente migliorativo, fu firmato da circa venticinque parlamentari, di sinistra e di destra, ma non ebbe migliore fortuna. Prevedeva, tra l’altro, l’accertamento delle cause di morte improvvisa dei giovani. Anche questa volta, però, quelle interessanti linee non furono convertite in legge, nonostante l’iniziativa legislativa cercasse di aprire gli occhi, a noi medici, su tante tragedie improvvise. Identica la motivazione che vanificò l’iniziativa di Paolo Siani: motivi economici.

Nonostante le tante giovani vite falciate in una strage continua e silenziosa, sembra che addirittura si siano allentati i controlli: molte palestre non richiedono più l’attestato medico e, nel migliore dei casi, basta presentare una certificazione per attività non agonistica (visita e un elettrocardiogramma anche vecchio di anni).

Non v’è dubbio che sono state mutilate alcune delle previsioni legislative del ministro Balduzzi, per cui il mio impegno di cardiologo e di presidente del Gruppo di Intervento per le Emergenze Cardiologiche è quello di presentare al nostro Legislatore un piano di realtà dal quale è doveroso non prescindere. Le adesioni alle nostre iniziative di coinvolgimento e di formazione sia dell’Associazione Italiana Arbitri che soprattutto della Federazione Italiana Gioco Calcio sono molto incoraggianti, perché ci stanno consentendo di mobilitare gli operatori dello sport, le famiglie, gli amministratori pubblici e i politici in genere sulla necessità di invertire la rotta.

Tante morti giovanili costituiscono una vera tragedia nazionale, ma se ne parla poco al punto che appaiono incredibili questi numeri.

Se una morte improvvisa si verifica nel corso di una competizione di dilettanti, per esempio una partita di calcio, la notizia ha una sua naturale amplificazione. Vi sono, però, altri contesti che non ottengono alcuna ribalta mediatica: la partitina tra amici al campetto, la morte avvenuta nella piccola palestra di paese che, per evitare ricadute assicurative, tenta di non far circolare la notizia. I dati però sono quelli, circa 1500 morti all’anno. Cifre che, nella loro drammaticità, ci obbligano a richiedere una radicale riforma.

Professore, una campagna come quella che lei conduce con tanta passione non può ingenerare il dubbio che lo sport, alla fine, possa non fare bene alla salute?

Lo sport fa bene a tutte le età, ovviamente deve essere graduato nella sua intensità in base appunto agli anni e alle condizioni fisiche di chi lo pratica. Il problema non è, quindi, di evitare o limitare l’attività sportiva ma di stabilire gli esami da fare per uno screening perlomeno minimo, che sia in grado di farci capire i soggetti che rischiano nel corso di esercizi fisici, soprattutto agonistici.

Il Covid può aver determinato l’abbassamento della guardia?

Dal primo luglio 2017 ogni impianto sportivo deve essere dotato di un defibrillatore semi automatico o a tecnologia più avanzata e il Covid ha certamente determinato, anche per la defibrillazione sportiva, un abbassamento della guardia. È anche diminuita l’attenzione per scoprire patologie congenite. In una parola, vi è una minore attenzione su campi e campetti di calcio, quando in quei luoghi sarebbero necessari più defibrillatori e più prevenzione primaria.

L’attuale maggioranza di centrodestra sta mostrando lo stesso disinteresse politico del passato nella individuazione dei ragazzi a rischio cardiaco o qualcosa si muove?

Ho la sensazione che vi sia un’attenzione maggiore per il problema e che stia comparendo, dico finalmente, la volontà di rimediare a ciò che non si è fatto per più di quaranta anni. Siamo stati più volte sentiti presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati e stiamo svolgendo numerose attività in quelle sedi con il ministro dello Sport e la mediazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Consideri che le stesse attività le abbiamo svolte ai tempi del governo Draghi senza mai ottenere una risposta.

Tra l’altro, questi esami più approfonditi da svolgere in età infantile e giovanile sarebbero anche un utile screening per evitare, in futuro, patologie più gravi e spese sanitarie maggiori.

Certamente. Un tempo le visite di leva e quelle scolastiche costituivano i primi screening su vasta scala. Da vent’anni quegli esami non esistono più. E questo è un ulteriore motivo per controllare, al più presto, la salute dei nostri giovani, atleti e non.