“Ho seguito tutte le udienze ed oggi sono qui perché solo io so come sono realmente andati i fatti. In dieci anni di Salernitana la mia famiglia ci ha rimesso 15 milioni di euro”. Per quasi due ore davanti ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno (presidente Siani, Cantillo e Trivelli a latere) Aniello Aliberti ha ricostruito, in maniera anche concitata, le principali tappe che hanno portato prima all’esclusione della Salernitana dal campionato di calcio di serie B e poi al fallimento (presente in aula anche Michele Aliberti). Un interrogatorio fiume da romanzo. Una rivisitazione di dieci anni di Salernitana e di uno spaccato del calcio italiano che ha incuriosito anche i giudici i quali non hanno mancato di chiedere precisazioni sulla questione degli ingaggi, delle plusvalenze, degli emolumenti ai procuratori e dei premi partita. Il patron ha esordito leggendo una memoria difensiva nella quale oltre a precisare quanto effettivamente speso negli anni di gestione per il club granata ha anche precisato: “Ci tengo che venga chiarito quanto accaduto per una tifoseria come quella della Salernitana che non meritava di essere mortificata da decisione che ancora oggi reputo inspiegabili. Ogni movimentazione è stata fatta alla luce del sole così come hanno evidenziato il consulente della Procura della Repubblica (pm Senatore) e il curatore fallimentare (Tommaso Nigro ndr). Negli anni è stato immesso sempre denaro affinchè si costruisse una squadra all’altezza della situazione”. Poi il patron è entrato nello specifico del dibattimento incalzato dalle domande dell’avvocato difensore Fabio Carbonelli (con Alfonso Furgiuele). “I sessantamila euro per la terza categoria??E’un torneo diverso da quello professionistico dove si pagano rimborsi spesa a bravi ragazzi che si dilettano a giocare a pallone pur, magari, lavorando. C’erano delle spese da sostenere. Dal campo di San Cipriano, ai soldi per per benzina ed accompagnatori”. Poi l’attenzione sulla questione dei 300mila euro di compenso percepito dalla Salernitana Sport. “Erano somme che venivano prelevate per i premi partita che, tra l’altro, non sono consentiti dalla Figc. Con un gruppo di 25/26 persone più magazzinieri e massaggiatori spesso ci trovavamo a corrispondere premi di 1000/1500 euro a partita. Tutte le società pagavano questi premi. C’erano stagioni che dovevamo elargire premi 30mila euro a partita per cullare il sogno di una promozione. Quando poi si lottava per la salvezza la cifra poteva anche raddoppiare visto che perdere la categoria avrebbe comportato un danno gravissimo alla società. Non ho mai preso un euro dalla Salernitana, nè tanto meno sognato di mettermi in tasca 300mila euro. Mi sostentavo attraverso altre attività. Inoltre ho regolarmente versato le tasse su quei soldi che mettevo a disposizione della squadra come possono certificare i cud. Quei soldi rientravano sempre nella Salernitana per le finalità che ho detto ed a volte, solo per esigenze tecniche, venivano spalamate su altre persone del cda (Collini e Rao). Cercavamo sempre di rimettere a posto i conti e ci siamo quasi sempre riusciti. Di sicuro non abbiamo partecipato a combine, scommesse ed altre cose squallide. In alcune circostanze è capitato anche di corrispondere 60mila euro come premio salvezza. Anche gli allenatori chiedevano questi incentivi tranne qualcuno che aveva altre idee. Zeman, per esempio, mi diceva: “I calciatori non scendono in campo per perdere”. Ma si tratta di scuole di pensiero. Nel 97/98 per la promozione in serie A ho corrisposto un premio di un miliardo e cento delle vecchie lire. Ovviamente i pagamenti erano dilazionati e sempre in contanti. Proprio in virtù di questi pagamenti extra un anno avevo deciso di assicurare l’eventuale promozione ai Lloyd’s di Londra. Avremmo incassato 5 miliardi di lire in caso di A a fronte di una polizza di 350 milioni di lire stipulata attraverso un broker italiano”.
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