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Sporcizie politiche, iurisfobia, ignoranze, vendette. E’ Sfasciopoli

Tommaso D'Angelo by Tommaso D'Angelo
30 Luglio 2023
in Ultimora
Reading Time: 5 mins read
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Meloni a Salerno con i meridionalisti
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di Aldo Primicerio

Sfasciopoli è un nostro neologismo. Strutturato – come tangentopoli, calciopoli ed altri – sulla consueta crasi giornalistica tra l’oggetto ed il suffisso “poli”, per indicare quindi “la città di, del, delle…”   

Partiamo dallo sfascio, figlio delle porcherie della politica, anzi di questa politica. Perché molte gestioni del passato sono da rivalutare e da salvare. Omettiamo la disgustosa vicenda della famiglia La Russa, su cui il Presidente del Senato fa bene a tacere invece che a proferire comprensibili stupidate, in attesa della chiusura delle indagini.  Parliamo piuttosto del voto del Senato che boccia la mozione di sfiducia su Daniela Santanché. Una volgare messinscena aggravata dalle motivazioni. Cioè dal basta con le mozioni di sfiducia ai ministri, basta con le ideologie, basta con il politichese. Insomma il solito basta generalistico ignorante, quello stesso che dice basta alla politica in magistratura, in carcere chi va con le puttane, in galera chi si apparta in auto. E sarebbe questo il new-deal promesso da Giorgia? Che delusione. E quale bassezza da parte di chi al Senato dice ai colleghi: “Ciò che accade oggi alla senatrice Santanchè domani potrebbe capitare a ciascuno di noi”. E’ il trionfo della casta, un inno alla delegittimazione, allo scambismo. E’ il disarmo bilaterale. Eravamo stanchi dell’ideologismo cerebrale di certa sinistra? Ed ora sorbiamoci il qualunquismo infantile di certa destra. Aiutato, ricordiamocelo, dal corporativismo “pane ‘e puparuole” di Calenda e Renzi. Questa è la gente che oggi fa le leggi per il Paese. E fa bene il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo ad invitare tutti ad un mea culpa collettivo, ed a ricordare i perché i politici sono in fondo alla classifica del consenso dei cittadini.

E poi la “disgiustizia”, la iurisfobia. Nata ad Arcore e diffusasi come una peste nella destra, e poi nei suoi impensabili alleati spinti dalla sindrome della scomparsa dalla scena politica. Di questa destra, lo ribadiamo, oggi ci piace la sua difesa della coppia e della famiglia, il no al mercimonio degli uteri, un freno ai lesbismi ed ai gaysmi genitoriali, la ricerca tenace di una via all’invasione indiscriminata dei clandestini, ed anche quella di un ripristino di alcuni valori dimenticati. Ma non ci piacciono affatto il suo disprezzo per la giustizia, la difesa della casta, la negazione dei diritti, la totale noncuranza per natura ed ambiente, l’assedio alle autonomie costituzionali, il tiro al piccione contro la magistratura. Nelle democrazie mature è questa che si occupa dei reati, e la politica invece dei comportamenti tra gli scranni, che spesso però sconfinano nei reati. E di qui alla “deforma” della giustizia di Carlo Nordio, che rinnega tutto il suo passato da Pm. Il primo tassello della sua “deforma” deve essere l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Un’abolizione inutile, che gli stessi Nordio e destra ammettono quando parlano di reato residuale con 8-10 condanne su 5mila procedimenti l’anno. Ma anche un atto contro l’Unione Europea ed il diritto internazionale che vi attribuiscono invece importanza fondamentale contro corruzioni e concussioni nelle pubbliche amministrazioni. Il secondo tassello è il concorso esterno in associazione mafiosa, un’invenzione di unafattspecie non strutturata secondo Nordio. Due tasselli che, quale combinazione, riguardano numerosi casi che coinvolgono esponenti della politica in genere, della destra in particolare. Come dire, togliamoci dai piedi queste due “palle”, per avere piedi e mani libere. E quindi ecco rispuntare un altro tassello, la separazione delle carriere. Una vecchia fissa di chi non è più tra noi. Una fissa praticamente inutile, perché il passaggio dalla funzione di Pm a giudice o viceversa non interessa affatto ai magistrati, come dimostra il 12 per cento di incidenza statistica. Non c’è che dire: le fisse sono proprie queste.

E poi le ignoranze della destra. Quella sul clima è colossale. Lo confermano le dichiarazioni del ministro per l’ambiente Pichetto Fratin in una intervista a SkyTg24. Lui dice: “Che ci sia un cambiamento del sistema sulle piogge, sul caldo e così via, credo che ogni italiano se ne renda conto, ogni europeo se ne rende conto. Che il responsabile sia l’uomo non si sa (!).  Lasciamolo agli studiosi”. Una dichiarazione disarmante, se stiamo ai rapporti delle Nazioni Unite’Onu, e dei 90 scienziati di tutto il mondo che invitato i giornalisti a spiegare le ragioni di quel che accade. Ma, d’altronde, quali dichiarazioni dobbiamo aspettarci da un signore che nella vita fa il contabile, il ragioniere commercialista. C’è voluta tutta la fantasia degli scienziati di FdI per pescare dal cilindro magico un tributarista che s’inventa ambientalista. Un regalo che la Giorgia poteva risparmiare al Paese. Lui a SkyTg24 aggiunge: “So che il riscaldamento della terra è iniziato da metà del secolo scorso, che ha la caratteristica di essere chiamato ‘il secolo breve’, è il secolo che ha scaricato di più a livello di emissioni… è quello? Non è quello? So che c’è però….”.

Caro Gilberto, lascia perdere, parla d’altro, ma non avventurarti in una giungla che non conosci. Poi lui conclude: “Le cause principali del cambiamento climatico sono da ricondurre alle emissioni di gas serra prodotte dall’utilizzo di combustibili fossili”. Ottima risposta per un alunno delle elementari. E quindi, Gilberto, per favore tornatene a casa.

Ed infine le vendette. Come si sa, la Rai ha cancellato dal suo palinsesto “Insider”, un programma di Roberto Saviano con alcune puntata già resistrate, pronte ad andare in onda in autunno. Scelte aziendali, non politiche secondo l’AD Rai Roberto Sergio. Un danno erariale invece secondo noi, se è vero che sono stati già pagati sceneggiatore, regista, tecnici ed attori. Una vendetta, dopo gli attacchi ripetuti di Saviano a Salvini, definito ministro della malavita per il suo progetto del Ponte sullo Stretto, il “ponte delle mafie”, una definizione ispirata da un saggio di inizi ‘900 di Gaetano Salvemini. Un attacco che Saviano onestamente poteva risparmiarsi, o riservarsi a programma già avviato. Ma, si sa, lui è fatto così, un narratore eccezionale, che però a noi non piace. E così, come tutti abbiamo letto, Salvini si è scagliato contro Saviano. Ma lo ha fatto anche contro don Ciotti, anche lui forte critico del progetto sul Ponte, peraltro contestato da decine e decine di associazioni ambientaliste e da ricercatori e scienziati di fama internazionale. E poiché il Ponte costituisce uno dei pilastri dell’azione politica di Salvini in questo governo, ecco la reazione rabbiosa da cui don Matteo poteva risparmiare un sacerdote che, raccogliendo l’insegnamento di don Milani, ha dedicato la sua vita all’esistenza degli altri. E, se vogliamo, quella di Salvini è anche una reazione volutamente ritardata agli attacchi di Fabio Fazio, che, ricordate, aveva portato in tv il racconto sulla mafia del Nord e sulle collusioni con la politica nordista, il cui narratore era stato proprio Saviano. Insomma, vecchi rancori sfociati poi nella cacciata di Fazio, Litizzetto, Gramellini e nelle volontarie dimissioni dell’Annunziata e di altri presunti fomentatori di un presunto livore anti-leghista ed anti-forzista. Ed anche qui, programmi e personaggi Rai che a noi non piacevano granché, su cui la tv di Stato si era fossilizzata da 30 anni.

E’ questa la Sfasciopoli, frutto dell’ignoranza, incompetenza, inadeguatezza che connotano anche la città di Salerno, la sua politica, il governo comunale, i suoi uffici e sportelli, i suoi tutori dell’ordine e della sicurezza. I cittadini sono stanchi di chi fa il vice e le veci, di personaggi paracadutati da mondi sconosciuti, di chi da anni passa il giorno seduto a maneggiare carte invece che ad osservare, ad ascoltare, a riflettere, a cambiare per rispondere alle attese. La città reclama, subito, un ricambio generazionale, culturale e morale della politica e dei suoi figli, legittimi ed illegittimi.  Per angusta ad augusta, verso grandi cose attraverso percorsi difficili.  

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Tommaso D'Angelo

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