Stefano Pagliani: il violinista e il direttore - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

Stefano Pagliani: il violinista e il direttore

Stefano Pagliani: il violinista e il direttore

Il docente di violino del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, impugnerà, nell’atrio del Duomo, domani sera, alle 20,30, la bacchetta per porsi alla testa dell’orchestra sinfonica d’istituto per il Brahms della prima sinfonia e il concerto per violino di Sibelius, affidato a Gennaro Cardaropoli

Di Olga Chieffi

Nella notte della Champions League, il Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” scende in campo col suo fiore all’occhiello, l’orchestra sinfonica. Siamo abituati ad ascoltarla nella doppia veste lirico-sinfonica, guidata dalla bacchetta di Jacopo Sipari di Pescasseroli ma, domani sera, alle ore 20,30 sul podio ci sarà il docente di violino Stefano Pagliani, col quale ci lasciammo lo scorso anno con la IV sinfonia di Pëtr Il’ič Čajkovskij, tra le lacrime di gioia del direttore Fulvio Maffia, e lo ritroveremo con la I sinfonia di Johannes Brahms. Se Lorin Maazel  definì Stefano Pagliani “Il più autorevole Konzertmeister presente in Italia” e l’indimenticato direttore imbracciava il violino, in particolare nel corso dei suoi celebrati concerti viennesi di Capodanno, il nostro docente avrà da interpretare una partitura, cara agli appassionati, ma che è ancora oggi oggetto di discussione da parte di certa critica, sia riguardo la sua collocazione all’interno della produzione ottocentesca, sia per le qualità stilistiche, poiché giunge alla fine di un lungo percorso caratterizzato da tentativi, accantonamenti e successive riprese, ripensamenti. “Non scriverò mai una sinfonia: non si ha idea di cosa voglia dire sentire sempre dietro di sé i passi di un gigante come Beethoven”. Il timore di un confronto con la produzione sinfonica del gigante Beethoven costituì, per Brahms una delle cause, se non la principale della sua difficoltà ad accostarsi al genere sinfonico. La Sinfonia, che dal direttore d’orchestra Hans von Bülow fu definita incautamente la Decima, con riferimento alle nove sinfonie di Beethoven nei cui confronti era considerata una continuazione ideale, fu spesso paragonata alla Nona. Ciò suscitò, a volte, la reazione dello stesso compositore, il quale ad un critico, che gli aveva fatto notare la citazione quasi letterale dell’Inno alla gioia nel tema principale dell’ultimo movimento, rispose: “Certo, anche un imbecille se ne sarebbe accorto”. La Sinfonia è piena di richiami, la cui influenza si avverte sia nel carattere monumentale del primo e del quarto movimento, che si conclude in modo trionfale allo stesso modo della Quinta e della Nona, sia nella grande ricchezza tematica del primo movimento paragonabile all’Allegro con brio dell’Eroica. Nonostante tali richiami al sinfonismo beethoveniano, la partitura di Brahms mostra una concezione sinfonica originale evidente, in particolar modo, sia nell’ampia introduzione del primo movimento, caratterizzata da una ricchezza di spunti tematici suscettibili di elaborazione, sia nell’assenza di un tema fortemente individuato all’inizio dell’Allegro, nel quale si ha la sensazione di una struttura musicale i cui materiali motivici sono sottoposti a una continua rielaborazione. La complessità del primo movimento è controbilanciata dall’apparente semplicità del secondo, Andante sostenuto, che si apre con una melodia cantabile, la cui ripresa, dopo una breve sezione di carattere pastorale, è arricchita dall’uso molto elaborato delle tecniche della variazione. Di struttura tripartita, è il successivo Scherzo, che si evidenzia per un clima in cui il sorriso sembra velato da una forma di malinconia in una scrittura in cui solo il ritmo di 6/8 riconduce alle movenze della danza. Il Finale è una costruzione poderosa in tre sezioni con un Adagio introduttivo di carattere solenne e cupo, con un Andante grandioso e, infine, con l’Allegro vero e proprio il cui primo tema, secondo alcuni commentatori, ricorda, soprattutto nella terza battuta, l’Inno alla gioia. Il Finale (Allegro non troppo ma con brio) è preceduto da due episodi lenti (Adagio – più andante). Ognuna di queste parti è in sé bipartita: nei loro rapporti dialettici caratterizzati dal passaggio dall’iniziale do minore al do maggiore finale si riassume lo stesso, fondamentale assunto affettivo del lavoro che riflette l’idea dialettica delle sinfonie beethoveniane che lo stesso Brahms supererà nelle sue successive opere consimili: superamento e riscatto dei motivi drammatici dell’esistenza umana. La serata continuerà con il violinista Gennaro Cardaropoli che si cimenterà con forse l’opera più famosa di Jean Sibelius, il Concerto in re minore Op. 47. Anche questa pagina è frutto di un intenso travaglio creativo; la sua stesura impegnò il compositore in un difficile e laborioso processo di conciliazione tra il proprio linguaggio, aspro e severo, e il virtuosismo immancabile nell’affermata concezione del Concerto romantico. L’opera, presentata l’8 febbraio 1904 a Helsinki dal giovane Victor Novàcek, si rivelò un clamoroso insuccesso. Sibelius, reagendo alle numerose critiche ricevute, la sottopose ad una sostanziale, profonda revisione; semplificando alcuni passaggi estremamente tecnici riservati al solista, che peraltro rimangono notevoli, rendendo più leggero il primo movimento, dando all’insieme quel vigore lirico e sentimentale prima sacrificato dall’eccessivo virtuosismo. Il Concerto si articola secondo il classico schema dei tre movimenti, rielaborati, tuttavia, in modo del tutto originale; l’Allegro iniziale è in forma-sonata, l’amorevole Adagio centrale adotta una forma di romanza tripartita, l’Allegro finale è sostanzialmente un rondò. Sul ritmo scandito in apertura dai timpani il solista sviluppa un vigoroso tema di danza popolare; passaggi di terze, arpeggi e armonici che richiedono doti di grande virtuosismo. Il ritmo caratterizza anche il secondo tema, una specie di valzer esposto dall’orchestra. Nel finale il violino si esprimerà nelle zone più alte della sua estensione, sostenuto dall’ intera orchestra.