Se la banda non attacca “Bella Ciao!” - Le Cronache
Cronaca

Se la banda non attacca “Bella Ciao!”

Se la banda non attacca “Bella Ciao!”

E’ il primo anno che il Corpo Bandistico “Lorenzo Rinaldi” di Giffoni Valle Piana, diretto dal Maestro Francesco Guida, che ha firmato la colonna sonora delle celebrazioni del 25 aprile non abbia attaccato la melodia simbolo della Resistenza, per ordine del protocollo

Di Olga Chieffi

Ieri mattina le tappe delle celebrazioni per il 25 aprile sono state ben quattro al cospetto delle autorità civili, militari e religiose, i sindaci dei comuni della provincia, i rappresentanti delle Organizzazioni sindacali e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, gli studenti della Scuola Media “G.Lanzalone” e i cittadini riuniti in Piazza Vittorio Veneto, dove sono stati resi gli onori ai caduti  al Partigiano Tenente Ugo Stanzione, indi ricordati i caduti del mare e le medaglie d’oro della Resistenza, in piazza Cavour. La più importante, la quarta, è stata l’intitolazione di uno slargo centrale del Lungomare, quello che incrocia via Velia, proprio a questa giornata: piazza 25 aprile. Ubaldo Baldi dell’Anpi Salerno e il sindaco Vincenzo Napoli, con tra il pubblico Piero De Luca e Franco Alfieri, hanno avuto ospite Luciana Castellina, rappresentante di Sinistra Italiana, per questo momento importante, rinviato per la pandemia. La Castellina ha dichiarato che il governo Meloni è apertamente fascista e che Ignazio La Russa ha detto bestialità. Per questo la Liberazione, secondo lei, ha un sapore particolare: “Questa volta è un 25 aprile speciale, per la prima volta lo celebriamo con un governo apertamente fascista. Riguardo la Costituzione che, secondo il presidente del Senato, non sarebbe antifascista -la Castellina ha rilanciato – Mi stupisce, invece, che ci siano giovani che hanno votato per FdI. Vorrei capire che idea hanno del fascismo e dell’antifascismo. Forse, abbiamo fatto poco per farglielo capire. Bisognerebbe fare come Palmiro Togliatti che andò a parlare con chi aveva scelto di continuare ad essere “nero”, forse per cultura, per tentare di convincerlo”. Anche ieri mattina  si avrebbe potuto certamente fare di più. Le parole Resistenza e Libertà, hanno lo stesso significato ieri come oggi. La storia umana continua nel suo sviluppo, imperterrita, la perdita della gioia, la perdita dei primordi, attraverso la guerra. E’ un giorno, il 25 aprile, per andare alla ricerca della plenitudo temporis eckartiana: quando il tempo è alla fine, riluce la sua pienezza, quando l’uomo è  alla fine, esplode la sua umanità, che verrà ritrovata cercando una nascita, la ri-nascita, una R(i)esistenza. Quanta distanza si avverte tra le generazioni in questo giorno: cosa vuol dire per un bambino, per un ragazzo, risalire alla Resistenza? Si tratta di una esperienza trasmessa ancora in modo vivo da chi l’ha direttamente vissuta. Come spiegare ai giovanissimi questa impresa storica di un popolo compiuta per libera scelta di milioni di uomini e donne semplici, che di essa furono protagonisti in senso pieno, creatori e corresponsabili. Non una decisione imposta, ma una scelta contro ciò veniva imposto; non l’inquadramento forzato in un esercito istituzionale, per una guerra decisa dall’alto, ma la costruzione volontaria di un esercito dal nulla, di un esercito di liberi e uguali. Una disciplina ferrea, ma derivante dalle esigenze della lotta liberamente intrapresa, e costantemente corretta e rafforzata dal carattere collettivo delle decisioni. Una democrazia piena, vissuta come costante compartecipazione di tutti ai problemi, e alle scelte, collettivi: la democrazia più piena e più alta, che la storia d’Italia abbia mai conosciuto. Non deve debordare in retorica, né agiografia, ce lo insegna il pensiero di Piero Gobetti: bisogna guardare alla Resistenza, così come è stata vissuta da “un popolo alla macchia”, da un popolo che si è dato organizzazione, strutture militari e politiche, giornali, codice civile e morale, senza l’intervento di apparati coercitivi separati dal popolo stesso, anzi, contro il potere armato esistente. Una generazione quella, che si caricò l’Italia sulle spalle, consapevole della Res Publica, nella sua essenza più pura, un qualcosa che da tempo sembra smarrito, quasi sconosciuto, sia nella popolazione che nella classe dirigente. Che non governa ma applica la governance. Si insegnano i termini Resistenza, Liberazione, Antifascismo, facendo sfilare la banda non solo su melodie e inni cari, quali Il canto degli Italiano, o la leggenda del Piave, o marce famose che il Corpo Bandistico “Lorenzo Rinaldi” di Giffoni Valle Piana, ha eseguito, generosamente, anche a nostra richiesta, come Caggiano, Giocondità, Pescasseroli, Gloriosa, e tante altre, per di più con tanti giovanissimi in organico, ma consegnando loro e a noi tutti, le note e la storia di “Bella ciao”, inno  universale della nostra Resistenza , soprattutto emiliana, fra l’Appennino bolognese e le zone della Repubblica partigiana di Montefiorino, melodia derivata da un canto ottocentesco delle mondine padane, con influenze di altri canti come “Fior di tomba” e “Picchia picchia la porticella”, mentre una seconda derivazione fa retrodatare le radici della canzone addirittura ad una ballata francese del Cinquecento. Canzone, questa spesso tradita con qualche mutazione remix, ignorante, da motivetto disco dance. Si è combattuto sulle note di “Bella ciao”, è ingiusto che questo canto possa essere associato a incoraggiamento per una banda di ladri della tv o quale colonna sonora di vacui balletti da villaggio turistico. Ieri, con nostro grande stupore “Bella Ciao” dopo tante belle parole, è stata tacitata: la banda non ha avuto il permesso dal protocollo di eseguirla, si è sentita una fisarmonica evocarla, ma senza l’avallo dell’ufficialità. Oggi, Bella Ciao deve continuare ad essere cantata e suonata, nel rispetto della pagina, come allora, ad essere simbolo del nostro popolo che si è messo finalmente in moto, in viaggio, con la sua musica, colonna sonora della Libertà e della Democrazia che allora nascevano e oggi difendiamo.