Il quartetto Rilke tra Classico e romantico - Le Cronache
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Il quartetto Rilke tra Classico e romantico

Il quartetto Rilke tra Classico e romantico

Giungono domani sera, alle ore 20, al terzo appuntamento i “Concerti di Primavera”, firmati da Giuliano Cavaliere, con L’ensemble formatosi alla Civica Scuola “Claudio Abbado”, composto dalle violiniste Giulia Gambaro e Martina Verna, la violista Giulietta Bianca Bondio e la violoncellista Federica Colombo 

Di Olga Chieffi

Il Quartetto Rilke, giovane ensemble nato all’interno della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” di Milano, sarà protagonista a Cava de’ Tirreni per il nuovo appuntamento dei “Concerti di primavera”, firmati da Giuliano Cavaliere domani sera, alle ore 20, nel salone del Complesso monumentale di San Giovanni. Il concerto, realizzato in collaborazione con la prestigiosa Accademia “Walter Stauffer” di Cremona, saluterà le violiniste Giulia Gambaro e Martina Verna, la violista Giulietta Bianca Bondio e la violoncellista Federica Colombo in un viaggio musicale dal classicismo al romanticismo tedesco. La serata principierà con l’esecuzione dell’Adagio e Fuga K 546 di Wolfgang Amadeus Mozart  una pagina particolare questa ove sacro e profano, miracolosamente si mescolano e il genio di Salisburgo divenne agli occhi di Pasolini, immagine della «leggerezza mortuaria», a suffragare le modalità con cui la sua musica entrò a far parte della colonna sonora del Vangelo secondo Matteo in cui accompagna la passione di Cristo. L’Adagio ha qui la funzione di accentuare l’effetto meccanico e sublime della fuga tramite un’introduzione patetica ad hoc: la tensione tra l’elemento fiero ed energico che apre il brano e un secondo segmento dal tono dolente e sommesso. Nella Fuga Mozart allestisce un’imponente struttura: un austero soggetto caratterizzato da ampi intervalli viene sottoposto al severo artificio del contrappunto e puntellato da un mobile controsoggetto che dona al tutto un’affascinante sinuosità cromatica. Seguirà l’esecuzione Il programma verrà inaugurato dal quartetto di Ludwig Van Beethoven in Fa maggiore op. 135, appartiene a quel gruppo di composizioni che si collocano nel cosiddetto “terzo stile” beethoveniano, caratterizzato da una visione trascendentale dell’esistenza. L’opera, citata nel romanzo di Milan Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, composta nel 1826, sei mesi prima di morire, si distingue per il carattere sereno e riflessivo, scevro da forti contrasti tematici e dinamici. Il brano, consueto nell’articolazione dei suoi quattro movimenti, forma sonata, scherzo, tempo lento, finale, potrebbe apparire come un ritorno al passato dopo una serie di ardue sperimentazioni; di fatto, invece, il passato è negato sin dal primo movimento che presenta contrapposte idee tematiche e fraseggi interrogativi tra gli strumenti. Ma è proprio nell’ «Allegretto», che possiamo cogliere quella proliferazione e perdita di funzione degli elementi tematici che costituisce, di fatto, proprio la negazione di quel ritorno al passato. Subito all’inizio si presentano, giustapposte, molte differenti idee, lo sviluppo si basa su entrambi i principali gruppi tematici; una breve coda chiude la pagina, che sembra ispirarsi all’amabilità e alla concisione degli ultimi Quintetti di Mozart. Segue uno scherzo “Vivace” aereo e trasparente, animato da spostamenti ritmici e improvvise sospensioni, con un trio che vede le improvvise scalate solistiche del primo violino. Il movimento lento («Lento assai, cantante e tranquillo») è, con la levigata tornitura del suo tema e la scelta dei registri opachi, una pagina meditativa. Quanto al finale, reca in epigrafe sulla partitura il tema dell’introduzione («Grave») e il suo rovescio, il tema dell’«Allegro», con sotto le parole «Muss es sein? Es muss es sein!» («Deve essere? Deve essere!»). Si tratta del materiale tematico e delle parole di un canone inviato, qualche mese prima della stesura dell’opera 135, a un “dilettante” di violino, per invitarlo ad indennizzare con una cospicua somma di denaro il violinista Ignaz Schuppanzigh, detentore dell’esclusiva per l’esecuzione del Quartetto op. 130, esclusiva che il dilettante aveva deliberatamente violato. L’introduzione lenta («Grave ma non troppo tratto», la domanda) si prospetta come meditativa e drammatica, con i suoi ritmi insistiti e le armonie dissonanti. Brusco contrasto quello dell’«Allegro» (la risposta), dove le varie idee melodiche si saldano grazie alla trasparenza e alla levità della scrittura. Il «Grave» riappare nello sviluppo, ma il Quartetto scivola poi verso una conclusione brillante ed umoristica, con un sorprendente pizzicato e una rapida chiusa. E’ questo il congedo sorridente del maestro dall’universo sfingeo degli ultimi quartetti, come anche dalla sua intera parabola compositiva. Finale con Robert Schumann, nella cui  sonorità appassionata del quartetto d’archi  esprime quel fraseggio conciso e palpitante, pronto a mutare in un istante le intermittenze del cuore in slanci eroici e viceversa, come accade nel trascinante Assai agitato del Quartetto in la maggiore n. 3. Il tempo  d’apertura è contrassegnato da una frase affettuosa romantica e di calda espansione melodica che viene esposta dal primo violino, ripresa dal violoncello e poi ampliata e sviluppata in una serie di figurazioni armoniche, che determinano un sentimento ora appassionato, ora liricamente più disteso. L’Adagio è stato definito giustamente di piglio beethoveniano non solo per la robustezza del tema che lo contraddistingue, ma soprattutto per l’articolazione ritmicamente scattante del canto melodico attorno ad un disegno indicato dal secondo violino. L’Allegro molto vivace si snoda secondo un discorso serrato e brillante, interrotto a metà da un caratteristico episodio in fa maggiore (Quasi trio, annota Schumann), tra l’ironico e l’umoristico.