Il Veneto tragicomico di Andrea Pennacchi - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Il Veneto tragicomico di Andrea Pennacchi

Il Veneto tragicomico di Andrea Pennacchi

Trionfo assoluto alla sala Pasolini della pièce “Pojana e i suoi fratelli”, con l’attore che, accompagnato dalla lapstick di Gianluca Segato e dalla chitarra di Giorgio Gobbo, ha anche spaziato tra proprie canzoni e il riarrangiamento di brani memorabili, come “Sweet dreams” degli Eurythmics

Di Gemma Criscuoli

Se è vero che ogni storia ha alla base un trauma, nessuno può competere con i Veneti. Come diavolo sbarazzarsi dell’etichetta di terroristi dopo il tanko a Piazza San Marco nel 1997? È scomodamente vicino il contesto narrato da Andrea Pennacchi in “Pojana e i suoi fratelli”, lo spettacolo caldamente applaudito dal pubblico della Sala Pasolini. Accompagnato dalla lapstick di Gianluca Segato e dalla chitarra di Giorgio Gobbo, che ha spaziato tra proprie canzoni e il riarrangiamento di brani memorabili, come “Sweet dreams” degli Eurythmics, il protagonista guida gli spettatori tra figure grottesche, che compiono scelte estreme e che, nei toni della commedia nera, non sanno lasciarsi alle spalle un antico bisogno di sangue e di caos. Come sempre avviene, è la quotidianità, l’ordinario il terreno da cui nasce ciò che vuole tralignare e lasciare un segno oscuro: Fossaragna, da cui partì l’azione dei cosiddetti Venetisti, è celebre per il rabosello, un vino adatto agli “esperti di metanolo” che stordisce a tal punto il malcapitato bevitore che lo si ritrova facilmente in un fosso senza un rene. Alla memorabile sagra della carne di cavallo, il parroco che, allo scoccare della mezzanotte, canta “Io vagabondo” tra fuochi d’artificio offre uno spettacolo a cui il giovane Pennacchi non avrebbe mai rinunciato. Eppure, proprio da quella tranquilla località è venuto l’orgoglio secessionista che ha fatto proseliti, nel 2014, a Casale di Scodosia. Il veneto, ma sarebbe più corretto dire l’italiano medio, anzi, l’essere umano tout court, ha un unico obiettivo : ridurre tutto al proprio egoismo e guai a chi la pensa diversamente. Ecco allora che il Pojana, alla caduta del governo Conte, si chiede “Cosa cazzo c’entro io con l’inno di Mameli in spiaggia al Papeete?”. Se l’indipendenza, seconda per importanza ai soli sghei, è tradita, la lega può anche andare a farsi benedire : quel recinto che è la mente dell’arido non tollera cedimenti sulla via del possesso e dell’autoaffermazione astiosa. I numerosi Pojana in giro per il mondo credono, dopotutto, che nulla sia cambiato, da quando i Sapiens Sapiens ammazzarono i Neanderthal (pochi esemplari sopravvivono soltanto nelle osterie di Rovigo), si passò al furore sbavante dei Teutoni per poi giungere agli anni di piombo: o schiacci o sei schiacciato, come ben sa Franco Ford, che acquista dieci fucili a pompa a difesa del suo patrimonio e solo a causa di una pessima mira evita l’uccisione dei lavoranti, giunti a reclamare lo stipendio in un momento di crisi. Il problema è che non ci si può fidare neppure degli anziani : la maestra Vittorina, a Vigosbrase sul Brenta, commette una serie di omicidi, dimostrando che anche a settant’anni l’energia non manca. Esistono, tuttavia, individui contro i quali “anche gli dei lottano invano”, perchè non sanno chi sono, ma creano danni a iosa : i mona, coloro che fanno del male nuocendo in primo luogo a se stessi. Ecco perché Tonon, il più grande esperto di veleno per topi, acquista una ditta di catering uccidendo una serie di clienti di alto rango : se il mona che s’incontra per strada è un flagello, di cosa sarà capace quello che ha un potere? La carrellata di personaggi si conclude con Edo, il security che ha sempre sognato di sbirciare minigonne occupandosi del servizio d’ordine e che si trova con un morto sulla coscienza in una festa a Jesolo, proprio quando Alvise gli raccomandava, tenendo d’occhio i bagni, di “portare pace in questo puttanaio”. La fragilità irrisolta di Edo, la semplicità dei suoi ragionamenti, il vano tentativo di far tacere la sua voglia di imporsi diventano un monito : bisogna guardarsi dal buio nell’anima che si attribuisce sempre frettolosamente ad altri e che invece attende anche in noi di risvegliarsi.