La toponomastica di Salerno: via Fieravecchia, l’antica strada locale - Le Cronache
Salerno

La toponomastica di Salerno: via Fieravecchia, l’antica strada locale

La toponomastica di Salerno: via Fieravecchia, l’antica strada locale

di Antonio Manconi
Come ho sempre fatto, anche qui riferisco quanto leggo su libri di storia dell’antica Salerno. La denominazione di questa strada richiama antichi e gloriosi eventi nella nostra Città. Di quello che avveniva in questa zona in secoli ormai lontani è rimasto soltanto il nome e questo va gelosamente custodito. Dice Ferdinand Gregoravius (storico tedesco del 1800 che ha scritto molto sul periodo medioevale): “I nomi antichi delle strade sono come tanti titoli dei capitoli della storia di una città e vanno perciò rispettati e mantenuti quali monumenti storici del presente”. La “Fieravecchia”, fino a poco prima della seconda guerra mondiale, era considerata – come “Fornelle”, “Barbuti” e “San Giovanniello” – “caposaldo” popolare di Salerno (è io ho la fortuna di ricordarlo relativamente all’ultimo suo periodo). In queste zone vivevano famiglie di antico ceppo fatte di marinai, artigiani, fruttivendoli, artigiani, mestieranti, tutti “Salernitani veraci” poi a poco a poco andati dispersi nella periferia della città. La Fiera alla quale fa riferimento il toponimo fu tenuta per la prima volta nel 1259 e nel corso degli anni divenne sempre più grande ed importante. Fu istituita da Re Manfredi, figlio di Federico II, dopo di essere stata voluta e concepita da quel grandissimo cittadino salernitano che era Giovanni da Procida. Peraltro, in quel periodo il Da Procida fece fare da Manfredi anche un vero porto per la città, quello che ora è chiamato Molo Manfredi. E le due iniziative condussero la città sulla strada di una evoluzione economica straordinaria. Sembra che la Fiera non abbia avuto tanto successo nei primi anni perché in quei tempi le strade, già percorribili con varie difficoltà, e il luogo “fuori protettrici mura” erano infestati da briganti. Già a partire dal secolo successivo, però, la Fiera divenne il più grande avvenimento commerciale non solo della Campania ma anche della Lucania e della Calabria. In Fiera c’era di tutto: si andava dai manufatti tessili alle ceramiche, dagli utensili casalinghi a quelli per il lavoro nei campi, dai calderai ai calzolai, dagli artisti orafi ai mugnaio, dalle biade alle garrube, dalle spezie alle droghe, dai lavorati in legno a quelli in ferro e paglia, dai prodotti salati ai sottoaceti, dalla fustagna alla carta. E c’erano anche gli animali quali pecore, capre, suini, galline, asini e soprattutto cavalli. In quel periodo giungevano a Salerno mercanti di città importanti quali Firenze, Pisa, Genova, Venezia e si vedevano tra i banchi anche quegli Ebrei che abitavano nella Giudaica e che vestivano panni di commercianti ed anche di banchieri con pratiche ad alto interesse. La Fiera, all’inizio, si svolgeva nel mese di settembre, in onore di San Matteo patrono della città; successivamente si prese ad allestirla pure nel maggio (la Fiera, appunto, diventerà nota come “Fiera di San Matteo”) Anche nella sua durata si verificò un allargamento: inizialmente durava 8 giorni; successivamente, per decreto del Re Carlo d’Angiò, la durata passò ad essere di 10 giorni. Il territorio destinato era quello sul lato sinistro del torrente Rafastia che allora era indicato come San Lorenzo di Strata (fuori le mura) e che oggi individuiamo in Carmine-Piazza San Francesco. Ma, con il passare degli anni, il territorio diventava sempre più vasto e fino ad arrivare alla Piazza XXIV Maggio-Via Fiera Vecchia-Portanova e ad affacciarsi sul mare (zona ora occupata dal Palazzo delle Poste e palazzi limitrofi). Quest’ultima zona era riservata al commercio degli animali come si rileva dalla foto che allego, foto che non so a quale anno risalga.
Tutto quel territorio era “zona franca” e quindi i mercanti non pagavano tasse sulle merci. Però c’era da pagare il “posto” che veniva occupato per l’esposizione delle merci o il fitto di depositi in pietra e di “stand” che erano di proprietà di ricchi signori della città ed anche di istituti religiosi. Della preparazione e gestione della Fiera si occupavano gli amministratori della città e il tutto avveniva sotto la direzione del “Maestro della Fiera” che si avvaleva anche di un vero corpo di polizia. L’incarico, che veniva assunto sempre da persone di spicco dell’ambiente nobile e ricco della città, acquistava sempre di più una importanza straordinaria e in quei 10 giorni i poteri che comportava divennero pari a quelli di un Re, quali quelli giudiziari e governativi per tutto quanto riguardasse la vita della Fiera. In questa gestione, nei secoli, emergeva la famiglia Ruggi che ottenne, fra l’altro, il diritto ereditario che portò avanti fino al XVII Secolo. La Fiera fu soppressa, ufficialmente, nel 1811 da Gioacchino Murat nel suo progetto politico di riorganizzazione delle province meridionali.