Peppino Cacciatore, lo sguardo, la visione - Le Cronache
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Peppino Cacciatore, lo sguardo, la visione

Peppino Cacciatore, lo sguardo, la visione

Di Olga Chieffi

Giuseppe Cacciatore è un Maestro. Le parole sono macigni, oggi, che dobbiamo affidarci alla sua opera per ritrovarlo e ritrovarci. La sua è filosofia, storia, metodo, che sa farsi narrazione, alchimia di significati alla ricerca del senso. Ogni incontro con Peppino Cacciatore è una riconferma di quell’eterno dialogo che con la massima semplicità,  eccezionale metodo ed estrema profondità di contenuti riesce a svolgere con l’interlocutore sia esso studente o cattedratico, simbolo di quello stesso domandarsi e rispondere, l’unico vero esercizio filosofico, che è oggi che, fisicamente non è più, è l’andare oltre il tempo umano, evocando la carnalità dell’ Erlebnis, “vivendo” l’inventiva improvvisazione dell’emozionale. Unità d’intenti e di sguardi e di pensiero, tra i Cacciatore e la mia famiglia, quell’essere in qualche modo visionari, affrontare scontri e lotte, la politica giusta per il bene comune. L’assessore Cacciatore è Maestro anche dagli scranni del Comune di Salerno.“Nel 1987 al Comune della città campana da due giovani, entusiasti animatori musicali, i fratelli Giulia e Vittorio Ambrosio. Gli Ambrosio sono due tipiche figure di provincia, nel senso migliore: dedicano tre quarti delle loro energie a far musica sul serio, non sono, come nelle metropoli, forze di potere in dialettica con altre forze, ma tenaci e pessimisti don Chisciotte che s’incuneano tra forze irrigidite e capaci soltanto di spiarsi a vicenda. Inutile dire (e anche questo fa parte del provincialismo regionale nostrano) che il Salerno Festival non è molto gradito ai centri di potere musicale insediati a Napoli, città nella quale neppure le locandine diffuse a mano dai collaboratori dell’iniziativa salernitana vengono affisse, con mille pretesti, ed è molto se per miracolo se ne trova qualcuna esposta in sedi meno infette da spirito camorristico. Il Festival 1991 si è aperto con due concerti di Uto Ughi e dell’Orchestra Filarmonica di Israele diretta da Zubin Mehta (15 e 16 agosto). Della capacità comunicativa di Ughi è superfluo parlare, ma sottolineiamo anche l’intensità con cui il violoncellista Michael Haran (l’Orchestra d’Israele ha in sé nuclei di formazioni cameristiche e veri solisti di alta statura) ha interpretato Schelomo di Ernest Bloch il 17 agosto. Quella sera, Mehta ha diretto anche la Prima Sinfonia di Mahler includendo, come secondo tempo, l’Andante detto “Blumine”, ed è occasione assai rara di ascolto, soprattutto nel contesto organico della sinfonia. Il 18 e il 19 la rassegna mahleriana è proseguita con due gigantesche partiture, la Quinta e la Nona. I concerti hanno avuto luogo, come di consueto, all’aperto, nel magnifico atrio del Duomo, a pochi metri dalla tomba di Gregorio VII: un luogo di grande splendore architettonico nel cuore di una città fatiscente, abbastanza sporca, economicamente depressa. Ma il pubblico, forse non dei piú agguerriti all’ascolto né dei piú culturalmente preparati, ha reagito con ingenuo, delizioso entusiasmo”. E’ Quirino Principe che scrive nei suoi “Minima musicalia” di un lasso di tempo d’oro per la cultura musicale della nostra città, il Salerno Festival del quale Giuseppe Cacciatore fu strenuo sostenitore, intuendo la visione di due giovani, già altissimi docenti di storia della musica del nostro Conservatorio, facendola sua, puntando sulla forza della soggettività, contro l’insensata in-differenza, ragionando da filosofo, comportandosi da Maestro, che offre la possibilità di “fare” a coloro in cui vede talento, consapevolezza, energia, visione, difendendo a spada tratta progetto e organizzatori, contro tutto e tutti, resistendo ad ogni infimo boicottaggio. Lì, ancora studenti, fummo avviati alla critica musicale, seduti accanto a figure mitiche del mondo del mondo musicale come Paolo Isotta, dai nostri giovani maestri, riconosciuti al primo sguardo dall’assessore Cacciatore, e entrando a far parte di una visione intergenerazionale, in cui il segno, potette trasformarsi in parola, suono, archè, principio in quanto da-dove della progettualità, essenziale punto di dipartimento di ogni pensiero che, per essere se stesso deve discernere, giudicare, orientarsi, criticare e di lì iniziò a restituire qualcosa in cui cominciarono o, forse, continuarono ad annodarsi rapporti empatici, nascite, emozioni, che intendiamo continuare a trasmettere alle future generazioni sulle tracce del Maestro Peppino Cacciatore.