Il giudice:«Si può dire che l’Isesfu una truffa» - Le Cronache
Cronaca

Il giudice:«Si può dire che l’Ises
fu una truffa»

Il giudice:«Si può dire che l’Isesfu una truffa»

di Peppe Rinaldi
Questa volta negli uffici giudiziari non c’erano carriere politiche da costruirsi e per le quali «mi raccomando, evitiamo i casi dove ci sono posti di lavoro a rischio». Non c’erano neppure consulenti tecnici, tra amici e amiche, cui affidare l’ennesima perizia inutile sul caso per poi non farne nulla e chiudere il fascicolo lasciandolo morire chissà dove e chissà come.
E non c’erano neppure vertici giudiziari preoccupati di non compromettere la carriera politica di un proprio congiunto, a sua volta già passato all’incasso di una fatturina per lo “studio della pratica”. Insomma, è bastato spostarsi di poco meno di 300 chilometri (Cosenza) perché un giudice mettesse nero su bianco che scrivere che il caso Ises sia stato una truffa non costituisce reato. Anzi. Non raccontiamo quasi mai le vicende giudiziarie in cui un giornalista viene trascinato da chi senta diffamato ma questa storia merita di essere almeno riassunta grazie alla sua intrinseca specificità. Parliamo, cioè, del famigerato caso dell’ex cooperativa Ises, poi Nuova Ises, cioè di una colossale truffa al Ssn sulla pelle di disabili, ultimi tra gli stessi ultimi, durata molti anni e con i principali protagonisti a piede libero, anzi in parte ancora operanti nel settore, con danni incalcolabili alle casse pubbliche, pure essi perduranti, con lavoratori ingannati per anni e oggi in strada: il tutto nella generale complicità, come abbiamo scritto per circa nove anni senza ricevere neppure una richiesta di rettifica o precisazione, di politica, magistratura, enti di controllo, ministeri competenti, Asl, Regione Campania, mezzi di informazione, forze dell’ordine di ogni ordine e grado, ispettorati vari, associazioni di settore, sindacati, partiti, movimenti, etc.
Oggi però c’è un nuovo capo alla procura di Salerno, chissà. Allora, tale E.T. (riportiamo solo le iniziali per carità di patria) si era sentito diffamato da un articolo apparso sul Quotidiano del Sud, giornale che si stampa in provincia di Cosenza, di qui la competenza del foro calabrese. L’autore incriminato è lo stesso che
sta scrivendo questo articolo. Dunque, il signor E.T., già dirigente Asl che si era occupato, tra altri, proprio di procedure sanitario-amministrative riguardanti la coop Ises, una volta in pensione e trascorso un po’ di tempo, un bel giorno si ritrovò direttore sanitario della struttura. Ovvio che la circostanza assumesse le sembianze, nonché la sostanza, di una notizia. E così fu: la storia venne raccontata in un contesto riassuntivo dell’intera vicenda, qui e altrove definita truffa com’è evidente a chiunque abbia un minimo di buona fede. Per non farla troppo lunga, sempre il signor E.T. sporse formale querela perché, dinanzi a un chilometrico curriculum di atti interni dell’Asl di Salerno composto di numeri, commi, articoli, decreti, delibere e determine che avrebbero fatto del beneficiario una sorta di Einstein del settore, l’accostamento del suo nome alla parola “truffa” avrebbe causato i solitamente lamentati (dai querelanti) danni incalcolabili alla propria reputazione. Non fu, quindi, l’immischiarsi con l’Ises a deturpare la reputazione del signor E.T. bensì il raccontarlo. Accade spesso.
Il pubblico ministero titolare del fascicolo ordinò le rituali indagini alla polizia giudiziaria, chiedendo successivamente l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari.
Ma per il signor E.T. l’onta è inemendabile se non attraverso la punizione del giornalista. La legge lo consente e quindi il “diffamato” propose formale opposizione alla richiesta di archiviazione. La palla, in questi casi, passa al giudice, il quale stavolta si mette a studiare il fascicolo valutando le nuove argomentazioni proposte dal querelante. Esito identico: il gip ordina la chiusura del caso e lo fa sviluppando un ragionamento che, forse, in qualche modo potrà costituire un
precedente incoraggiante per chi, per lavoro, è costretto a fare slalom complicatissimi con le parole e le interpunzioni. Il giudice Piero Santese del tribunale di Cosenza, dunque, il 30 novembre scorso a valle di un articolato ragionamento scrive testualmente: «Alla luce di tali considerazioni (verità storica dei fatti narrati, nda) per come utilizzata, la parola truffa è da considerarsi termine iperbolico che esteriorizza un’aspra critica da parte del giornalista nei confronti dell’operato di un ex manager pubblico….la terminologia utilizzata non deve essere letta nella sua accezione tecnico-giuridica ma quale espressione di generale contrarietà al cattivo impiego di risorse pubbliche…».
Dovrebbe essere, a questo punto, tutto molto chiaro. Chiudiamola qui. Quel che, al contrario, non sembra poter chiudersi in pari modo è proprio il finale di questa storia, specie ora che la Nuova Ises ha chiuso i battenti per i definitivi pronunciamenti amministrativi. Le
questioni ancora aperte, e sulle quali torneremo, riguardano alcune circostanze precise. Il comune di Eboli, inspiegabilmente, non si è costituito parte civile nel processo cosiddetto “Casa del Pellegrino”, la qual cosa legittima numerose perplessità su alcune linee di fondo
del nuovo governo. Neppure, il Comune, cambia la destinazione d’uso del palazzo per uso civile della F&M (vittima della truffa a sua volta, in un certo senso) che fu trasformato in sanitario dalla precedente, complice, amministrazione, per portare a termine il disegno truffaldino e continuare a drenare soldi pubblici senza
rispettare la normativa.
Non può più farlo?
Se è così è ancora peggio, sempre che la volontà di un consesso civico non possa prevalere su disposizioni di relativa cogenza e intensità. Proprio in
relazione al mantenimento di questa destinazione sanitaria, è stato notato da diverse parti un certo attivismo attorno al Palazzo F&M di un faccendiere locale il cui nome compare in più di un fascicolo giudiziario e sempre in relazione a casi opachi e rapporti anomali con politici e imprenditori vari. In conclusione, da un lato si chiude una vicenda che avrebbe imbarazzato perfino Messina Denaro (iperbole) per il grado di compromissione generale, dall’altro se ne apre un’altra a causa di questi tre elementi nuovi.
Vedremo.