Oltre il muro del carcere di Poggioreale - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Oltre il muro del carcere di Poggioreale

Oltre il muro del carcere di Poggioreale

Domani sera, alle ore 20, sul palcoscenico del teatro Ghirelli, ci sarà il collettivo Lunazione, con Il Colloquio di Eduardo Di Pietro, ospite della settima edizione della stagione Mutaverso firmata da Vincenzo Albano

Di Olga Chieffi

Domani sera, alle ore 20, sul palcoscenico del teatro Ghirelli, secondo appuntamento con la VII stagione Mutaverso, nell’ambito di Ablativo, declinazioni espressive di Vincenzo Albano. La scelta del direttore artistico, è caduta su “Il colloquio”, uno spettacolo vincitore del Premio Scenario Periferie 2019 e di diversi altri temi, scritto da Eduardo Di Pietro, che ne è anche il regista, interpretato da Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino. ll Colloquio prende ispirazione dal sistema di ammissione ai colloqui periodici con i detenuti presso il carcere di Poggioreale, Napoli. L’ispirazione è nata da un documentario in cui si accendevano i riflettori su questa fila interminabile di donne a cominciare dall’alba per conquistare senza alcuna sicurezza, il colloquio di un’ora.La pièce vede tre donne, tra tanti altri in coda, cosiddetti “I condannati di fuori”,attendono stancamente l’inizio degli incontri con i detenuti. Portano oggetti da recapitare all’interno, una di loro è incinta: in maniera differente desiderano l’accesso al luogo che per ognuna custodisce un legame. La detenzione rappresenta un evento fortemente traumatico per gli individui che ne vengono coinvolti. Il carcere è un momento di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, i sentimenti, le abitudini, che prima rappresentavano la vita, schizzano all’improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo. Al detenuto non è dato di decidere con chi coltivare rapporti, e gli affetti rimangono drammaticamente fuori da ogni possibilità di scelta. La solitudine, la lontananza, e quindi l’impossibilità di avere continui e regolari contatti con i propri cari sono spesso l’origine di un crollo psicofisico, di cui risente tutta la famiglia, con la conseguenza di un’inevitabile frantumazione del rapporto emotivo-sentimentale. L’individuo è costretto ad abbandonare il suo lavoro, la sua abitazione, gli affetti, ovvero tutti quegli elementi che costituivano il suo progetto di vita, per questo il carcere può rappresentare per il soggetto detenuto, una seria “minaccia per gli scopi di vita dell’individuo, per il suo sistema difensivo, per la sua autostima ed il suo senso di sicurezza”, una minaccia che nel tempo si concretizza in una progressiva disorganizzazione della sua personalità. La perdita di identità è poi condizionata dalla continua influenza della cultura carceraria, cioè di quella subcultura che si sviluppa tra gli appartenenti alla comunità carceraria, al di fuori dalle regole penitenziarie, che porta a poco a poco ogni individuo a divenire un membro caratteristico della comunità penale distruggendo la sua personalità in modo da rendere impossibile un successivo adattamento ad ogni altra comunità. Questo progressivo processo di adattamento alla subcultura carceraria è stato definito da Donald Clemmer “processo di prigionizzazione”.  La vita quotidiana della città non si è ancora risvegliata e dalla sospensione onirica della situazione, dagli scontri e dagli avvicinamenti reciproci, emerge la visione brutale di una realtà ribaltata. La galera, un luogo alieno, in larga parte ignoto ed oscuro, si rivela un riferimento quasi naturale, oggetto intermittente di desiderio e, paradossalmente, sede di libertà surrogata. In qualche modo la reclusione viene condivisa all’esterno dai condannati e per le tre donne, che se ne fanno carico, coincide con la stessa esistenza: i ruoli maschili, in una società come quella del Sud, che vede ancora le due figure ben definite, con i propri compiti, senza alcuna possibilità di osmosi, si sovrappongono alle vite di ciascuna, ripercuotendosi fisicamente sul corpo, sui comportamenti, sulle attività, sulla psiche. Nella loro realtà, la detenzione è una fatalità vicina – come la morte, – che deturpa l’animo di chi resta. Grande polarizzazione lo scontro tra i detenuti e le famiglie di essi e la Polizia penitenziaria, ovvero l’Istituzione, con cui non sanno rapportarsi e si è sempre sull’orlo della denigrazione e della rissa. Nel corso delle ricerche il collettivo Lunazione, si sono fatti conquistare da queste vite dimezzate, ancorate all’abisso, disposte lungo una linea di confine spaziale e sociale, costantemente protese verso l’altrove: un aldilà doloroso e ingombrante da un lato e, per contro, una vita altra, sognata, necessaria, negata. La mancanza, in entrambe le direzioni, è sembrata intollerabile al collettivo.