Roberta: Combattere la malattia impugnando una racchetta - Le Cronache
Salerno

Roberta: Combattere la malattia impugnando una racchetta

Roberta: Combattere la malattia impugnando una racchetta

di Clemente Ultimo
Possono bastare dieci minuti per superare di slancio uno stop lungo ventitré anni? Sì, se questa manciata di istanti viene vissuta con passione e forza di volontà, insieme – perché no – a qualche lacrima di gioia. E di determinazione Roberta Borrelli ne ha da vendere: giovanissima promessa del tennis azzurro (convocata in
nazionale già tra gli under 14), è costretta da una grave patologia ad interrompere bruscamente la carriera
agonistica nel momento in cui il suo personale ranking la proietta verso un futuro ricco di promesse. Nel
giro di qualche settimana si passa dai campi in terra rossa alle stanze di ospedale, dalla tensione delle gare
all’ansia per una diagnosi che tarda ad arrivare. E quando giunge, la risposta dei medici non è per nulla
confortante: Glomerulonefrite mesangioproliferativa da accumuli di Iga, trasformatasi poi in insufficienza
renale cronica in fase terminale. Per l’atleta salernitana è la fine di una promettente carriera sportiva.
Inizia così un lungo percorso che porta Roberta alla dialisi, in attesa di un trapianto che ancora non c’è stato. Così quel torneo disputato a cavallo tra il 1999 ed il 2000 sembra destinato a restare un ricordo lontano, un pensiero amaro di quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Almeno fino ad un paio di settimane fa.
«Qualche giorno prima di Natale – dice Roberta – ricevo la telefonata del presidente dell’Aned (l’Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto, nda) Pino Vanacore che, ben conoscendo la mia
passata esperienza agonistica, si dilunga sull’impegno profuso dall’associazione in ambito sportivo per le positive ricadute che questa attività ha sulla salute di dializzati e trapiantati. Oltre che per sensibilizzare l’opinione pubblica, anche attraverso eventi sportivi, sull’importanza della donazione degli organi, tanto più
in una regione come la Campania che, purtroppo, è agli ultimi posti in Italia per donazioni post mortem. E
arriviamo al punto: quest’anno, in concomitanza con gli Internazionali d’Italia si svolgerà un torneo
tennistico nazionale organizzato dall’Aned, un mio contributo sarebbe cosa gradita. La richiesta mi sorprende, ma accetto di buon grado: mi ritrovo così delegato regionale dell’associazione per il settore sportivo».
Ma non solo è un contributo organizzativo quello che ti è stato chiesto, giusto?
«Sì, la vera richiesta è stata quella di tornare a giocare, di partecipare al torneo al Foro Italico. Un pugno nello stomaco! Sono ventitré anni che non tocco una racchetta, che non ho voluto toccare una racchetta, ed ora mi si chiede addirittura di prendere parte ad un torneo? La prima reazione è stata un momento di profonda angoscia. Come se non bastasse, ho iniziato a passare in rassegna tutti i problemi che avrei incontrato se avessi voluto tornare a giocare, ad iniziare dal fatto che sono mancina, ma oggi su quel braccio c’è la fistola che utilizzo per la dialisi. Avrei dovuto impugnare la racchetta con la destra e,
onestamente, non avevo idea di se ne sarei stata capace. Certo, ho imparato ad utilizzare la strumentazione
medica con la destra, sono dentista e le attrezzature odontoiatriche sono tutte pensate per destri, ma giocare a livello agonistico è un’altra cosa. Nonostante tutto ciò ho deciso di prendermi qualche giorno per pensare».
E per fare qualche telefonata.
«Lo confesso, dopo il primo momento di sbandamento ho messo mano al telefono per sentire cosa ne pensassero due mie vecchie conoscenze, il maestro ed il preparatore atletico che mi hanno seguito durante l’attività agonistica. A questi si è poi aggiunto il nefrologo, segno concreto della mia nuova condizione. Mi sono confrontata con loro ed alla fine mi sono detta: perché non provare? La cosa divertente è che ho dovuto iniziare veramente da zero, ovvero dalla racchetta e dalle scarpette: quelle che ho ritrovato in una vecchia borsa erano ridotte a brandelli».
Eccoti quindi una domenica mattina di nuovo su un campo da tennis. Qual è stato il tuo primo pensiero?
«Avevo appuntamento alle 9 con l’allenatore, sono arrivata qualche minuto prima, ritrovandomi così da sola in campo. La prima cosa che mi ha colpito è stato l’odore della terra rossa, il mio campo da gioco preferito: non sono riuscita a trattenere le lacrime. È stato uno sfogo positivo, forse necessario. Mi sono sentita bene. Ho riscoperto l’amore per il tennis: sono bastati due minuti in campo, l’odore delle palline nuove per restituirmi emozioni che avevo dimenticato».
E la racchetta impugnata con la mano destra?
«Una sorpresa! Per il maestro e per me. Siamo partiti da zero, ma già dopo una decina di minuti ho ripreso
pienamente confidenza con la racchetta, usare la destra non mi ha dato nessun problema, sono riuscita agevolmente a fare un rovescio. Che dire ancora, l’ora è semplicemente volata».
Obiettivo Roma, quindi?
«Sì. Userò i prossimi mesi per la preparazione fisica ed atletica per il torneo: il mio personale traguardo per il 2023 sarà arrivare a giocare al Foro Italico. Era il mio sogno, quando ero arrivata ad un passo dalla meta la
malattia mi ha costretta a fermarmi. Ora si riparte e poi chissà, vedremo».
C’è qualche altra meta da raggiungere?
«Il torneo di Roma è solo uno degli eventi sportivi promossi dall’Aned. Grazie alla collaborazione con associazioni simili di altri Paesi viene organizzato anche un campionato mondiale di tennis, che quest’anno si svolgerà ad agosto in Australia.
Una meta impossibile per me ora, anche perché essendo in lista per un trapianto una trasferta dall’altro capo del mondo è semplicemente impossibile da affrontare, ma nel 2025 il
mondiale si disputerà in Germania: che dire, un giro a Berlino non mi dispiacerebbe. Mi preparerò per raggiungere questo traguardo, magari per allora non ci sarà più la spada di Damocle del trapianto a pesare su di me».