Colf, badanti e babysitter. Andrea Zini avverte: Così si dà forza al lavoro in nero - Le Cronache
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Colf, badanti e babysitter. Andrea Zini avverte: Così si dà forza al lavoro in nero

Colf, badanti e babysitter. Andrea Zini avverte: Così si dà forza al lavoro in nero

di Erika Noschese
Colf, badanti e babysitter sempre più in nero. Stando alle dichiarazioni a caldo, questo è il risultato della riunione della Commissione Nazionale per l’aggiornamento retributivo precisando che scatta l’adeguamento all’80% dell’indice Istat per le retribuzioni minime che da gennaio aumenteranno quindi del 9,2%. Stando a quanto si legge in una nota, “i sindacati, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs e Federcolf non hanno voluto accettare la proposta avanzata dalle associazioni datoriali rappresentate dalla Fidaldo di scaglionare gli aumenti dovuti nel corso dell’anno”. Con ripercussioni che, anche solo per mere ragioni geografiche, riguardano anche la provincia di Salerno.
A confermare il dato preoccupante è il presidente nazionale dell’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, Assindatcolf, nella persona del dott. Andrea Zini.
Un adeguamento ai contratti è sempre cosa giusta.
«Questo meccanismo contrattuale, articolo 38 del contratto per la precisione, lo abbiamo voluto tra le parti datoriali e sindacali. Ce l’abbiamo da 40 anni, perché non eravamo nella legge sull’unità di contingenza, non essendo imprese. Ce la siamo costruita, quindi, e inserita nel contratto.
Dopo una decina di anni dall’inserimento, il referendum abrogativo ha tolto il meccanismo dell’indennità di contingenza, mentre noi ce lo siamo tenuti nel contratto. Noi siamo rimasti indietro ma non ci ha mai dato tanto fastidio, perché prima dell’euro c’era la svalutazione, quindi si riequilibravano entrate e uscite. Dopo l’euro non ci sono stati grossi sbalzi, se non l’anno scorso quando ha iniziato a muoversi un po’ la svalutazione, ma fino ad allora c’è stata calma piatta. Tra l’altro anno scorso, a giugno, il Parlamento europeo ha varato la norma sul salario minimo, che prevede la possibilità di non definirlo per legge se ci sono meccanismi automatici di aggiornamento delle retribuzioni».
Quindi?
«Quindi siamo rimasti talmente indietro da essere più avanti degli altri contratti, poiché sostanzialmente allineati. Nulla da recriminare sulla norma: il problema è che non è strettamente automatica, cioè calcolata l’inflazione scatta l’aumento, ma è la commissione delegata che si riunisce al Ministero che deve stabilire la modifica, anche in altri termini. Su questo contavamo perché la stangata è alta, è forte. Un aumento del 9,2% delle retribuzioni vuol dire, per la figura più “necessaria”, la badante per persona non autosufficiente, 1575 euro di aumento del costo annuo, tra retribuzione e contributi. A fine mese la circolare dell’Inps farà altrettanto: aggiornerà l’apporto del contributo orario in base all’Istat. Di qui le nostre aspettative: francamente siamo rimasti decisamente delusi. Dopodiché capisco le esigenze, anche dei lavoratori, ma credo che scaglionare questi aumenti sarebbe stata la cosa più saggia. Non è che non si volessero erogare».
Cosa succede adesso?
«Materialmente le famiglie che hanno la colf o la babysitter a ore, credo che non avranno praticamente nessun impatto perché di solito la tariffa oraria è più alta del minimo sindacale. Da me a Parma, per esempio, una colf richiede tra i 10 e i 12 euro/ora, ad esempio. Non ci saranno aumenti, a meno che le famiglie non vogliano dare qualcosa in più di loro sponte. Ma i minimi assorbibili verranno utilizzati per ammortizzare questo aumento. Purtroppo, però, le famiglie che hanno maggiori necessità sono anche quelle che hanno maggiore rigidità di reddito: la badante a tempo pieno, convivente per la nonna nel caso tipico, la si prende perché non si può fare altrimenti.
Non si può mettere in Rsa, non c’è struttura familiare disponibile a gestirla, perché altrimenti si perderebbe qualche posto di lavoro, quindi si assume la badante. Ma le famiglie che la assumono, appunto, hanno a loro volta una retribuzione che non verrà aumentata, perché ripeto questa regola si verifica soltanto nel contratto del lavoro domestico».
Toccherà scegliere, quindi, tra il proprio lavoro, i risparmi o la messa in nero. Come spesso già accade, soprattutto in Campania.
«Esatto. A questo punto le scelte sono: o mi sacrifico, mettendo mano ai risparmi e gestendo l’aumento, oppure rinuncio alla colf e faccio rinunciare al proprio lavoro un componente della famiglia, di solito una donna. Oppure la gestisco in nero o, se va bene, in grigio. Questa norma, alla fin fine, si ribalterà sulle condizioni delle persone più svantaggiate. Sia come contesto di famiglia sia per le lavoratrici che si ritroveranno costretti, in casi limite, a perdere il proprio posto di lavoro».
Occorre una risposta dal governo, dunque.
«Assolutamente sì, infatti puntiamo tutto su questo. Una norma del giugno scorso, legge delega sull’emancipazione femminile più nota come Family act, prevede che venga emanato uno o più decreti per incentivare la regolamentazione dei rapporti di lavoro in ambito domestico. Quindi ci sarà questo meccanismo di sostegno».
Perché si preferisce il lavoro in nero?
«Se il lavoro a nero costasse meno del lavoro in chiaro, anche le industrie lavorerebbero in nero. Le industrie possono dedurre il costo di lavoro dal bilancio, altrimenti si rischierebbe troppo. Lo stesso vale per le famiglie: se si potesse dedurre il costo del lavoro, il lavoro in nero non sarebbe competitivo, come accade da 20 anni a questa parte in Francia».
Cosa prevede il cronoprogramma?
«Primo passo, Family act che entro marzo dovrebbe produrre questo decreto. Secondo, il decreto del Ministero del lavoro che pubblica il piano per la lotta al lavoro sommerso: anche qui sono previsti incentivi, anche se ancora da definire. Questo è il meccanismo che ci aspettiamo venga al più presto varato. In questo caso le famiglie avrebbero tutto l’interesse a regolarizzare il rapporto di lavoro».
A livello nazionale è aumentato o diminuito il lavoro in nero, per queste categorie?
«Secondo le nostre stime, forse è calato in piccolissima parte. Circa 200mila lavoratori sono frutto della sanatoria del 2020 che non è ancora finita del tutto. A fronte di 961mila censiti dall’Inps, riteniamo che il nero sia nella forbice tra 1 milione e 1.2 milioni di lavoratori».