Il glioblastoma multiforme è il tumore cerebrale più aggressivo - Le Cronache
Attualità

Il glioblastoma multiforme è il tumore cerebrale più aggressivo

Il glioblastoma multiforme è il tumore cerebrale più aggressivo

di Giovanni Torelli*
Il glioblastoma multiforme è il tumore cerebrale più aggressivo ed è poco responsivo alla chemio e alla radioterapia. La sopravvivenza dal momento della diagnosi nel 90% dei casi non supera i 12 – 15 mesi e il tasso di sopravvivenza a cinque anni è inferiore al 5%. La chirurgia attualmente risulta essere l’approccio principale ma non risolutivo pertanto, vista l’alta aggressività della lesione e la prognosi infausta, la cura del glioblastoma risulta essere ancora una grande sfida per neurochirurghi ed oncologi in particolare, nonostante i progressi nello studio e nella terapia. Per questo motivo vengono sperimentati approcci terapeutici sempre più nuovi, nel tentativo di curare questo tipo di tumore. Il Dott. Torelli dell’U.O. di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Ruggi di Salerno, durante una parentesi lavorativa presso la U.O. di Neurochirurgia dell’A.O.R.N. “Cardarelli” di Napoli assieme al Dott. Caiazzo che al tempo ne era direttore, ha partecipato ad importanti studi sull’impiego di nuovi possibili agenti terapeutici nella cura del glioblastoma umano. Tali studi sono stati condotti in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, in particolar modo con le Dott.sse C. Pagano e R. Della Monica; i Prof. L. Chiariotti e M. Bifulco nonché la Dott.ssa C. Laezza quest’ultima dell’Istituto di Endocrinologia e Oncologia Sperimentale (IEOS) del Consiglio Nazionale delle Ricerca (CNR).
Detti studi sono incentrati sull’impiego sperimentale dell’N6 – Isopentiladenosina (iPA o i6A), citochina che promuove la crescita delle cellule vegetali e la loro “caratterizzazione” ma presente anche nelle cellule dei mammiferi, nella cura del glioblastoma. Nei due articoli scientifici cui si fa riferimento, entrambi pubblicati su riviste scientifiche internazionali di settore assai diffuse, si è studiato il ruolo dell’iPA come chemioterapico. Dagli studi di laboratorio effettuati si è visto che l’iPA è in grado di contrastare la crescita e l’aggressività del glioblastoma attraverso due meccanismi: il primo favorisce la morte cellullare attraverso la necroptosi, il secondo va ad inibire il metabolismo mitocondriale della cellula. La necroptosi è di per sé un meccanismo di morte programmata della cellula che avviene mediante necrosi. Ossia viene attivato un meccanismo per cui la cellula tumorale attiva degli enzimi distruttivi che danneggiano e scompaginano le proprie membrane con la dispersione del contenuto della cellula stessa. Il secondo meccanismo prevede l’interferenza con la traslocazione di un recettore per l’EGF all’interno di organelli cellulari detti mitocondri. La traslocazione in grandi quantità di questo recettore sia della sua versione normale che mutata all’interno dei mitocondri, processo che sembra caratterizzare i glioblastomi, causa la “moltiplicazione” delle cellule tumorali. L’iPA interferisce con questo processo causando la morte “programmata” della cellula.
L’impiego dell’iPA, visti i molteplici meccanismi attraverso cui può combattere il tumore, sembra promettente ma gli studi al momento sono solo a livello sperimentale e necessitano di ulteriori approfondimenti per verificarne l’efficacia non solo sulle cellule ma sui viventi, sperando ovviamente nella scarsa tossicità ad eventuali dosaggi terapeutici. La strada è lunga, la speranza tanta ma lo scopo è importantissimo nonostante la scarsità di fondi e la necessità di tempo ulteriore.

*neurochirurgo Ospedale Ruggi D’aragona