Riccardo Christian Falcone: Combattere la cultura della mafia - Le Cronache
Attualità

Riccardo Christian Falcone: Combattere la cultura della mafia

Riccardo Christian Falcone: Combattere la cultura della mafia

di Nicola Celentano
«Il tema non è solo combattere la mafia. Il tema è combattere la mafiosità, e cioè quella cultura che reputa accettabili le piccole illegalità, i sotterfugi, le scorciatoie, le connivenze». Parla così Riccardo Christian Falcone, responsabile del settore Bene Confiscato del coordinamento campano di Libera che fa il punto della situazione sull’aumento dei reati a livello provinciale e regionale, il dilagante fenomeno delle baby gang e il ruolo che oggi svolge l’associazione.
Cosa pensa lei a riguardo della notevolissima comparsa sempre in misura maggiore di queste baby gang?
«Il ricorso alla violenza come strumento di regolazione delle relazioni sociali sta diventando ormai un dato pericolosamente ricorrente nelle nostre città e nei nostri quartieri. È un fenomeno che riguarda, in maniera estremamente preoccupante, soprattutto giovani e giovanissimi. Di fronte a questo scenario, credo ci sia bisogno di un’assunzione di responsabilità collettiva, di un di più di impegno e di consapevolezza. Occorre che le nostre città diventino sempre più comunità educanti, nelle quali, ciascuno con il proprio ruolo e la propria responsabilità, faccia fino in fondo la sua parte. Dobbiamo disarmare questi ragazzi. Non solo dai coltelli e dalle pistole, ma da una cultura della violenza, della sopraffazione, della prepotenza che va combattuta con le armi dell’ascolto, dell’incontro, dell’accoglienza. Troppo spesso ci accorgiamo della fragilità e del disagio dei ragazzi solo quando il conflitto diventa violenza. Dobbiamo invece agire prima, decostruendo la cultura della prevaricazione e costruendo nuovi sistemi di relazioni basati sulla cura reciproca, sull’educazione, sul sostegno a chi fa più fatica. È un processo difficile, che ci chiama in causa tutti: le Istituzioni, la scuola, le famiglie, il mondo dell’associazionismo, la chiesa, le altre agenzie educative».
Per lei che cosa è la criminalità organizzata e in che modo essa si differenzia da quella presente negli anni 80?
«L’obiettivo è lo stesso: l’accumulazione di ricchezza. Non c’è dubbio che questo rimanga l’orizzonte prioritario per le organizzazioni criminali e mafiose. Ciò che è cambiato sono invece le modalità con cui le mafie agiscono oggi e perseguono questo obiettivo. È un processo di modernizzazione, di internazionalizzazione e di finanziarizzazione che ha affiancato alle attività tradizionali – a cominciare naturalmente dal traffico di droga e dalle estorsioni – nuovi canali di investimento. La corruzione è diventata sempre di più uno strumento privilegiato, in grado di comprare la connivenza e la complicità di chi le mafie dovrebbe contrastarle e invece si presta a fare affari con loro. Così le mafie oggi tentano di infiltrarsi nella Pubblica Amministrazione, nel mondo imprenditoriale, nell’economia legale. Lo fanno potendo contare su liquidità enormi, capaci di drogare il mercato e generare affari enormi. Ma anche su professionisti compiacenti».
Sento spesso dire che noi giovani siamo il futuro del Paese, qual è il messaggio che vorresti mandare a tutti quei ragazzi/e che si trovano già ad un’età prematura a far i conti con la droga, le armi etcc?
«Quello che ho appena detto: si può avere una vita piena soltanto scegliendo da che parte stare. E la parte giusta non può mai essere quella della violenza e della morte, ma è sempre quella della vita, del rispetto per sé e per gli altri, del riconoscimento di sé negli altri. Tra i doni più belli che l’impegno in Libera mi ha portato c’è senz’altro la possibilità che ho avuto in questi anni di incontrare, quasi quotidianamente, migliaia di studenti. A loro dico sempre di non credere a chi si rivolge ai giovani come al futuro del Paese. È una retorica ambigua, perché se i giovani, se cioè la parte più dinamica e attiva della società, sono il futuro, allora il presente di chi è? Ecco, io credo che i giovani siano il presente. Che il loro impegno sia necessario e urgente qui ed ora e non in un futuro dai contorni indeterminati. È qui e ora che ai giovani va fatto posto, va dato spazio e protagonismo. In questa dimensione, è possibile restituire ai giovani la voglia di combattere per le proprie idee, per i valori in cui credono, per il cambiamento che sognano».
C’è secondo lei un qualcosa da cambiare all’interno della scuola?
«La relazione con il mondo della scuola è stata ed è per Libera assolutamente prioritaria. Perché se combattere le mafie passa anzitutto attraverso un impegno culturale, allora non c’è luogo migliore della scuola per dare corpo a questo impegno. In tutti questi anni abbiamo attraversato migliaia di scuole, classi, aule. Abbiamo camminato insieme il 21 marzo, visitato insieme i beni confiscati. La nostra gratitudine va alle tante docenti e ai tanti docenti che, ogni giorno, vivono l’impegno educativo come una missione, inventandosi di tutto per stare accanto ai loro ragazzi, per incoraggiarli, per sostenerli. Un patrimonio enorme di bellezza e di speranza, fatto di donne e uomini che non si scoraggiano di fronte alle difficoltà. E questo perché sanno perfettamente che la scuola assolve fino in fondo alla propria funzione se è palestra di vita, se è capace cioè non solo di istruire ma di educare, non solo di inculcare nozioni ma di tirare fuori il meglio dai ragazzi, riconoscendo in ciascuno talenti e fragilità. L’idea che la scuola sia il luogo adatto solo ai migliori è, a mio avviso, estremamente pericolosa. Da questo punto di vista, quell’accostamento tra istruzione e merito a cui abbiamo recentemente assistito si presta ad alcune ambiguità. La scuola o è di tutti e per tutti o semplicemente non è scuola».
In virtù dell’articolo 27, il quale c’è il bisogno di una rieducazione del condannato, cosa è possibile fare affinché questi ragazzi una volta usciti cercano di percorrere un ‘altra strada?
«Dare loro alternative. Lavorare con loro, quando ancora vivono l’esperienza del carcere, per dimostrare che, una volta fuori, li attende una seconda possibilità. Il valore rieducativo della pena, sancito nella nostra Costituzione, resta imprescindibile. In generale, ma a maggior ragione per i giovani e i giovanissimi. È per questo che, in questi anni, Libera ha avviato numerosi percorsi che coinvolgono i minori in area penale. Percorsi in cui, alla necessità che i ragazzi si assumano la propria responsabilità, si affianca la disponibilità a sospendere il giudizio, a riconoscere a tutti una seconda possibilità. Solo così è possibile dare concretezza a quel principio costituzionale che punta al reinserimento di chi ha sbagliato. Sono percorsi delicati, che molto spesso incrociano anche la testimonianza viva dei familiari delle vittime innocenti. Generando cambiamenti inattesi e insperati».
In base alla sua esperienza in Libera, anche come responsabile del settore Bene Confiscato del coordinamento campano, in che modo pensa che si possa riuscire a respirare un’aria libera e pulita?
«Impegnandoci di più e meglio tutti. Assumendoci di più e meglio tutti la nostra parte di responsabilità. Smettendola di considerare la speranza un concetto astratto e prestando alla speranza le nostre energie, le nostre gambe, il nostro impegno. Abbandonando la cultura della delega e dell’indifferenza e scegliendo invece la strada del protagonismo, della responsabilità e della corresponsabilità. Il tema non è solo combattere la mafia. Il tema è combattere la mafiosità, e cioè quella cultura che reputa accettabili le piccole illegalità, i sotterfugi, le scorciatoie, le connivenze. È qui che la cultura mafiosa si alimenta, in un atteggiamento di rassegnazione e di indifferenza che ci fa accettare ciò che accade come qualcosa di ineluttabile, perché in fondo è sempre andata così e andrà sempre così. È questo meccanismo che dobbiamo spezzare, impegnandoci quotidianamente senza pensare che occorrano gesti eroici per combattere le mafie, per costruire il cambiamento che sogniamo. I veri eroi sono quelli che, nella vita di tutti i giorni, fanno fino in fondo la loro parte. E rendono l’aria più libera e più pulita».
Lei si occupa in modo particolare dei beni confiscati alla camorra. Pensa che l’utilizzo di tali beni possa dare un’impronta di cambiamento e appunto spingere a cambiare?
«Non solo lo penso, ma l’ho visto e lo vedo tutti i giorni. L’ho toccato con mano in centinaia di contesti, a volte anche estremamente complicati. I beni confiscati che tornano alla collettività sotto forma di lavoro, di servizi, di lotta al disagio sono uno strumento straordinario di cambiamento, in grado di ribaltare totalmente la narrazione sull’invincibilità delle mafie. Se questo può accadere oggi, lo dobbiamo al sogno di uomini come Pio La Torre, che, quarant’anni fa, hanno intuito l’importanza dell’attacco ai patrimoni mafiosi. E lo dobbiamo a quel milione di cittadini italiani che, tra il ’95 e il ’96, apposero la propria firma a sostegno della proposta di legge di Libera per il riutilizzo sociale dei beni confiscati. È grazie a queste persone che, oggi, migliaia di beni che prima erano i segni del potere criminale e mafioso sul territorio incarnano il potere dei segni del cambiamento e del riscatto. Sui beni confiscati e riutilizzati per finalità pubbliche e sociali le mafie perdono, ogni giorno. Perché lì, su quei beni, si costruisce una narrazione nuova, che tiene insieme, accanto alla dimensione repressiva, anche la dimensione politica, quella economica, quella culturale. Ed è ancora più significativo quando tutto questo accade nel nome delle vittime innocenti delle mafie. Il mio invito è a conoscere queste storie di riscatto e cambiamento, a viverle, a toccarle. Perché affondare le proprie mani nella terra confiscata ai clan dove oggi si costruiscono nuove opportunità di vita per chi fa più fatica significa sporcarsi le mani con la bellezza del cambiamento».