Salerno, la Corte dei Conti demolisce la gestione dell'Asl - Le Cronache
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Salerno, la Corte dei Conti demolisce la gestione dell’Asl

Salerno, la Corte dei Conti demolisce la gestione dell’Asl

Di Peppe Rinaldi

La Sanità – in maiuscolo – a Salerno non si sente tanto bene. Nonostante De Luca. Il quale, ovviamente, non è Superman, sebbene egli stesso a volte se lo immagini. Scoperta dell’acqua calda? In realtà è ciò che ha messo nero su bianco la Corte dei Conti della Campania dopo aver passato al setaccio i bilanci delle Asl traendone un giudizio impietoso, per quanto tecnicamente fondato. I magistrati contabili, pachidermici ma implacabili, hanno analizzato i numeri delle aziende sanitarie e hanno pubblicato i relativi responsi sulla rete. Basta andarseli a leggere per farsene un’idea. Veniamo all’Asl di Salerno, maxi azienda sanitaria dal bilancio miliardario. La Corte, a suo modo e col suo linguaggio, dice che le cose non vanno. E non vanno a dispetto di un fiume di danaro “in più” piovuto dalla Regione nelle casse di via Nizza dal 2015 in avanti, cioè da quando a Palazzo Santa Lucia è andato lo sceriffo di Salerno, erede dell’immane sfascio dei conti targato Bassolino-De Mita-Montemarano che fece precipitare la Campania nel baratro del commissariamento e, a quanto par di capire, anch’egli oggi “imputabile”, almeno politicamente.  Si calcola – ma non lo fa in questo caso la Corte nella delibera 109/2022 che ha scandagliato i bilanci dal 2018 – che  siano quasi due i miliardi di euro in più arrivati a Salerno in questi anni a botte di quasi 250 milioni annui. Sono molti soldi, tanti, tantissimi. Come mai non se n’è accorto (quasi) nessuno? Dove sono finiti tutti questi danari? Noi che siamo abituati a pensar male, immaginiamo vi sia una relazione tra quanto sta emergendo nell’Asl Napoli 1 in queste ore (almeno 5 milioni di euro svaniti nel nulla per magheggi vari di dirigenti e funzionari tra appalti e appaltini fantasma) e il groviglio di cifre, numeri, capitoli, carte e documenti che riguardano Salerno. Traghettando ora il ragionamento dalle premesse ai contenuti, proviamo a riassumere e volgarizzare fin dove possibile quanto scritto dalla Corte campana.

L’Asl di Salerno pecca su diversi fronti a parere dei magistrati, i quali non risparmiano parole severe a partire dal presidente del collegio dei revisori contabili di via Nizza: il vertice di questo organo, teoricamente fondamentale in ogni ente pubblico per vigilare sulla gestione dei soldi affidata ai manager indicati dalla politica, è lo stesso sin dal 2018, quindi lo era durante la direzione del Dg Iervolino, lo è oggi con quella del dottor Sosto, un dettaglio considerato centrale dai magistrati in quanto da via Nizza avrebbero provato a prender tempo per fornire risposte ai numerosi rilievi della Corte (che parla esplicitamente di «scarsa collaborazione») ma soprattutto avrebbero commesso il madornale errore di non presentarsi all’adunanza pubblica ordinata dai magistrati, che, lapidariamente, definiscono l’assenza del presidente un «autentico vulnus del contraddittorio». Insomma il presidente dei revisori avrebbe fatto meglio a presentarsi, avrà avuto forse impegni più urgenti.

Schematizzando, le sberle della Corte all’Asl sono dovute a «diffuse irregolarità nei controlli amministrativi»; al «ricorso continuo dell’istituto della proroga contrattuale» (vigilanza, pulizie, etc); ai troppi «errori di imputazione di costi sugli esercizi di bilancio» (cioè si spendeva, ad esempio, nel 2018 e si registravano le voci nel 2020 o viceversa); ai «costi del personale e retribuzioni»; al mancato «contenimento della spesa»; alla «mancata individuazione dei soggetti responsabili del danno erariale» (cane non mangia cane?); per non dire della iper critica situazione patrimoniale dell’Asl che non sa neppure di quanti immobili dispone a titolo di proprietà oltre alla solita giungla dei fitti e locazioni di cespiti privati altrui. Certo, all’adunanza, gli intervenuti incaricati da via Nizza hanno presentato un bilancio in attivo per lo scorso anno di circa 30mila euro (su 1 miliardo circa di volume complessivo) che, dicono, sarà accantonato per altro: ma, si sa, nelle aziende pubbliche come le sanitarie l’attivo in bilancio non significa nulla, anzi, è paradossalmente indicativo di una gestione in un certo senso anomala.

Uno dei gironi più prossimi al cuore dell’inferno, per usare immagini dantesche, è sicuramente quello dei crediti e dei contenziosi, che potrebbero essere oggetto di un capitolo a parte di approfondimento giornalistico: quel che accade in questo settore, sempre poco scandagliato dagli organi inquirenti, tra fatture pagate in fotocopia, crediti antichi lasciati maturare all’infinito per renderli produttivi di interessi crescenti, accordi opachi tra uffici legali e controparti creditrici sul business dei decreti ingiuntivi, a volte non opposti altre opposti a termini scaduti, non è descritto in questi termini dalla Corte ma rappresenta il sottotesto implicito di dissertazioni tecniche. C’è poi l’altro capitolo dove l’Asl pure non ha soddisfatto i magistrati contabili e che, insieme agli altri, potrà rappresentare per qualcuno una serie di guai futuri, vale a dire la gestione dell’Alpi, l’attività libero professionale dei medici all’interno delle strutture: anche qui le cose non stanno messe bene secondo la Corte che testualmente dice «nel caso dell’Asl Salerno, la mancata implementazione della contabilità analitica del settore intramoenia rende di fatto impossibile conoscere i risultati della specifica gestione intramoenia, ovvero, in altre parole, alla domanda “quanto ci guadagnamo/perdiamo dalla gestione intramoenia”, ovvero “riusciamo a coprire i costi della gestione intramoenia con i ricavi della gestione stessa”, non è possibile dare risposta. Questa Sezione, già nell’ambito delle verifiche effettuate sugli Enti del SSR in sede di giudizio di parificazione del rendiconto regionale ha ribadito come “l’assenza di un sistema di contabilità analitica non costituisca solo una carenza censurabile sotto il profilo della scientia artis – i cui contenuti possono ricavarsi dagli standard, nazionali e internazionali, dell’economia aziendale e gestionale – ma rappresenta, altresì, anche un vulnus a precise norme di legge”. Sintesi e traduzione: non solo non si è stati capaci dal punto di vista professionale («scientia artis») di risolvere il problema (utilizzando le nozioni di base dell’«economia aziendale e gestionale») ma questo fatto è un colpo (vulnus) diretto alla legge, cioè viaggia tra l’illecito e l’illegale.

In conclusione, sono le parole della sezione campana della Corte ad esplicitare severi concetti di fondo. Basta leggerle con la dovuta attenzione: «La Sezione rileva come nella legislazione più recente, avendo sempre come stella polare dell’agire amministrativo il rispetto del principio di legalità, si accorda rilievo giuridico al risultato. Emerge la fisionomia di un’amministrazione il cui compito non è solo di applicare la legge ma, nel rispetto di quest’ultima e del principio di imparzialità, anche quello di essere responsabile dei risultati (…). L’Ente dovrà quindi orientarsi verso una amministrazione di risultato ovvero un’amministrazione responsabile non solo della legittimità del proprio operato, ma anche dei risultati raggiunti». Questo per i manager e il personale dirigente. E ce n’è pure per chi dovrebbe controllarli: «Il Collegio sindacale in adunanza pubblica, qualora fosse stato presente, avrebbe potuto riferire in maniera più esaustiva, circa la congruità o meno di tali fondi, poiché l’organo di controllo dell’Azienda rappresenta che le determinazioni di detti fondi (come indicato nel rilievo istruttorio) non erano state esibite, vieppiù adombra la presenza di sforamenti pregressi. Non si può non censurare l’assenza in pubblica udienza del Collegio sindacale, nonché il ritardo nel fornire adeguate informazioni da parte del Collegio stesso.La Sezione riserva verifiche sul punto nell’ambito dei successivi controlli».

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