La morte di Nunzia ha ucciso anche la mia famiglia - Le Cronache
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La morte di Nunzia ha ucciso anche la mia famiglia

La morte di Nunzia ha ucciso anche la mia famiglia

di Mario Rinaldi
Questa mattina, la famiglia Maiorano di Cava dè Tirreni, accompagnata dall’amministrazione comunale, deporrà, in piazza Gramsci, la nuova targa in ferro in ricordo di Nunzia Maiorano, la 41enne residente alla frazione S. Anna, che il 23 gennaio 2018 venne assassinata dal proprio marito Salvatore Siani, che la colpì con 47 coltellate. La targa, l’estate scorsa, è stata distrutta da un’azione vandalica ed oggi riposta nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Uno dei fratelli di Nunzia, Gianni, 51enne padre di figli, a seguito della tragica vicenda, è stato il tutore dei tre figli della sorella, all’epoca tutti minorenni: Giuseppe (oggi 20 anni), Marika (oggi 15 anni), Michele (oggi 10 anni). Proprio quest’ultimo ha assistito dal vivo alla furiosa lite tra i genitori sfociata poi nel crudele assassinio di questa giovane madre. Oggi, la famiglia Maiorano e i figli di Nunzia parteciperanno alla tavola rotonda organizzata dall’associazione “Frida”, presieduta da Ambra Viscito.
Il fratello Gianni racconta alcuni terribili momenti di quella giornata, l’impegno della sua famiglia per onorare la sorella e anche la richiesta di un maggiore impegno delle istituzioni.
Signor Maiorano, innanzitutto, i vostri nipoti oggi come stanno?
“Indubbiamente meglio. Ma il dolore che portano dentro, così come quello nostro è lacerante. E’ come una ferita mai rimarginatasi. Soprattutto Michele, che oggi ha 10 anni, ha subito il trauma più grande dopo aver assistito a quelle scende drammatiche, alle quali ha assistito anche mia madre. Oggi, nostra madre di 85 anni è diventata un vegetale. Pensa che la figlia sia ancora viva e ogni tanto chiede di lei. Il trauma psicologico l’ha portata a ridursi in questo stato”.
I figli di Nunzia oggi dove vivono?
“Marika e Michele sono stati proprio adottati da mio fratello Massimo e dalla moglie Mariateresa Di Fazio. Il più grande, Giuseppe, che oggi ha 20 anni, è ancora legato a una casa famiglia di Benevento, però è stato affidato a mio fratello Basilio. Non appena anche gli altri due saranno maggiorenni intendono fare la richiesta di cancellazione del cognome del padre”.
Ecco cosa ricorda di quella terribile giornata?
“Ricordo che giunsi a casa di mia sorella e non avendo capito niente di quello che era successo la prima cosa che feci soccorsi mio cognato perché quelli del 118 mi avevano detto che Nunzia non destava preoccupazione. Forse nemmeno loro capirono inizialmente la gravità della cosa. Chiesi anche a mio cognato cosa fosse successo ma lui non rispondeva. Successivamente, dopo aver compreso quanto accaduto, devo ammettere che oggi mi porto indietro anche il rimorso di non aver detto agli altri membri della mia famiglia il grido di aiuto di mia sorella, che un mese prima mi aveva confidato di avere paura di essere ammazzata. Però nessuno poteva immaginare questo epilogo. Tutti mi dicono che non potevo far niente. Ma intanto resta il forte rammarico di non aver denunciato la cosa. Magari mia sorella oggi sarebbe ancora tra noi”.
Subito dopo il dramma cosa è accaduto ai figli di Nunzia e alla vostra famiglia?
“Siamo andati totalmente in confusione. E qui mi permetto di aggiungere che, almeno inizialmente, purtroppo, non c’è stato l’aiuto delle istituzioni. Necessitavamo tutti, soprattutto i miei nipoti, di un supporto psicologico. Sono dovuto recarmi io all’Asl di Cava per tutte le incombenze del caso. Ci siamo sentiti un po’ abbandonati. E questa cosa non dovrebbe mai accadere per nessuna forma di tragedia”.
La sentenza resa nei confronti del marito di Nunzia secondo lei ha reso giustizia?
“Io credo che un episodio così aberrante non possa mai consegnare una giustizia giusta. Nel senso che anche il processo è stato opinabile, la proposizione di una perizia psichiatrica per verificare se in quel momento quell’uomo era incapace di intendere e di volere. Ma stiamo scherzando? Da questo punto di vista c’è ancora molto da fare altrimenti c’è il rischio che vittime come mia sorella possano essere ammazzate una seconda volta”.
Oggi la vostra famiglia ha messo in piedi un progetto all’interno delle scuole per promuovere la cultura del rispetto.
“Si. Riteniamo sia fondamentale insegnare ai giovani la cultura del rispetto verso l’altro, verso il più debole, verso le donne, gli anziani, i bambini indifesi. Con la collaborazione del Comune e delle scuole elementari e medie teniamo degli incontri organizzati per discutere sul fenomeno della violenza e far comprendere, soprattutto ai giovani, che si può essere anche lasciati in un rapporto di coppia, che le storie possono finire, ma che bisogna sempre avere rispetto dell’altro”.