L’ultimo saluto a Rodolfo Anastasio - Le Cronache
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L’ultimo saluto a Rodolfo Anastasio

L’ultimo saluto a Rodolfo Anastasio

di Erika Noschese
«La colpa non è dei giovani ma di noi educatori e dei genitori: dobbiamo educare alla vita non al possesso». È l’appello lanciato da don Pasquale Martino, parroco della Chiesa di Don Bosco di via Francesco La Francesca che ieri ha celebrato i funerali dell’uxoricida Rodolfo Anastasio, il 56enne che dopo aver accoltellato a morte la moglie si è tolto la vita. Poco prima dell’inizio dei funerali l’arrivo, sicuramente non così scontato, dei figli Giovanni e Michele che si sono stretti alle zie, profondamente colpite da quella tragedia. «In questa occasione ogni parola è superflua, dobbiamo accendere la speranza e accogliere la vita della persone. La morte ci apre una porta importante per la quale spendere tutta una vita: quella della vita eterna», ha detto don Pasquale durante l’omelia.
Oggi l’ultimo saluto a Rodolfo Anastasio. Prima di togliersi la vita ha ucciso sua moglie, ennesima vittima di femminicidio…
«Umanamente è inspiegabile perché può significare tante cose. Una reazione sproporzionata anche se dicono che forse era geloso ma è pur sempre sproporzionata. Il problema è la cultura di oggi che porta sempre sulla cultura della morte, con la prepotenza, con qualunque mezzo; ed è qui che noi dobbiamo cercare di proporre la speranza, riaccendere situazioni nuove, motivazioni nuove affinchè la vita sia un dono grande e sia vissuta come tale e non come possesso. Il problema è questo: amare non è possedere, amare significa liberare l’altro, mettere l’altro a proprio agio con la complicità si cresce ma bisogna farlo insieme altrimenti ci si mette uno contro l’altro e diventa difficile. Queste sono le tragedie, soprattutto dopo il post pandemia. Noi ne stiamo rilevando davvero tante, forse per l’isolamento, la cultura del sospetto, per amicizia; tante volte, sulla negatività intervengono tanti fattori».
Cosa si sente di dire ai giovani di oggi?
«Io darei la colpa a noi, genitori ed educatori: dobbiamo educare alla vita non al possesso, all’arrivismo, non alle furbizie fuori posto perché i giovani, se li sappiamo prendere come dice don Bosco e si genera un dialogo positivo, danno tantissimo e noi ne abbiamo tanti che vanno su questa linea. È chiaro che se non si riesce nell’opera educativa perché siamo rinunciatari, non si conclude niente e queste sono le conseguenze. Più che sui ragazzi io punterei sugli educatori, gli ambienti a partire dalla scuola e la chiesa affinché siano educativi».
Il perdono sembra così difficile, cosa si sente dire alla famiglia?
«Noi non sappiamo nulla, io devo predicare la misericordia. Umanamente è inspiegabile ma non sappiamo cosa è passato lui per la testa e come si è presentato davanti al Signore. Bisogna educare alla misericordia e all’amore vero, poi ci dobbiamo fermare perché ogni parola in più diventa fuori posto, non ha senso».
Quanto è difficile per lei?
«Celebrare messa è stato difficile, davvero. È una delle cose più difficili ma è anche un’occasione perché con delicatezza, senza puntare il dito – perché nessuno può giudicare, non sappiamo cosa realmente è accaduto – dobbiamo educare alla vita, al perdono, alla misericordia. È un percorso, non si perdona a cuor leggere se non si ama, il perdono è l’esperienza più alta dell’amore e senza di esso non ci sarà perdono».