Ghost: Karl come Scarpia, il male assoluto - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Ghost: Karl come Scarpia, il male assoluto

Ghost: Karl come Scarpia, il male assoluto

Antonello Ronga per la sua trasposizione della celebre pellicola di si pone sulle tracce di Giacomo Puccini e della sua Tosca. Su tutti il talento di Teresa Di Florio pittoresca Oda me

Di Olga Chieffi

“Muori dannato! Muori, muori!”, pronuncia Tosca a Scarpia morente, con quel diabolus scritto dentro, in quel tritono che si sente fin dal brevissimo preludio. Se Scarpia è un diavolo umano, che perisce di coltello, Antonello Ronga ha pensato che anche il suo Carl, cooprotagonista negativo di Ghost, il primo titolo della nuova rassegna Transpose realizzata dalla Compagnia dell’Arte, fosse il massimo del male possibile, pur sempre un uomo, perché il male è nell’uomo, in particolare quell’uomo che attenta alla bellezza e all’amore. Ghost sin dalla sua apparizione è rimasto nel sentire di tutti. Il segreto sono racchiusi in quei temi universali, che sono alla base di tante pellicole, a partire dalla “Vita è una cosa meravigliosa”, che hanno alla loro base l’eterno scontro tra bene e male, tra luce ed ombra, tra l’al di qua e l’al di là. Allestimento minimale, firmato da Francesco Sommaripa, con i costumi di Paolo Vitale e Francesca Canale e le luci di Giuseppe Petti, per un film che ricordiamo comunque effettistico, anche se di quegli anni, e pregnante l’ interpretazione di Valentina Tortora nei panni di Molly, in particolare nel ritorno nella casa vuota dopo l’assassinio di Sam, al quale ha dato voce un generosissimo Gianni D’Amato. La casa diventa claustrofobica poiché tutto ricorda i momenti trascorsi tra quelle mura – “Non la sospiri la nostra casetta /che tutta ascosa nel verde ci aspetta? Nido a noi sacro, ignoto al mondo inter /pien d’amore e di mister?” canta Tosca, tanti i progetti di Sam il bancario e di Molly l’artista, sino al pensiero di un figlio, e ora si trova a dover ritirare dalla lavanderia, le camicie del suo uomo che non c’è più. Diversi i capitoli di riassunto e commento della storia, affidati alla voce di Gianni D’Amato, interamente commentati dalle introduzioni strumentali delle varie arie, sino al solo di clarinetto, l’ancia dello struggimento, della nostalgia, dell’abbandono della vita, del “E lucevan le stelle”. Molly non può non pensare al suicidio il dolore per la perdita del coniuge è forse il più grande e severo tra tutti, poiché ci si è scelti. Ed ecco entrare il baritono: si, Karl è Scarpia, sostenuto dal suo sicario Willy (Roberto De Angelis) sua la fragilità dubbiosa e feroce, le cupe screziature, quel fabbricare senza pentimento, l’idea della sentina, del tramare nell’ombra, sino a giungere all’omicidio plurimo, quindi al cedimento, al suicidio. Sam è nel limbo, ha lasciato ancora in sospeso qualcosa in terra, in primo luogo la salvezza di Molly, in secondo luogo il dover pronunciare quelle due fatidiche parole, “Ti amo” al posto di “idem”. Questa dimensione sovrannaturale è la nostra, di noi figli del Sud, in particolare in questo periodo, in cui nella nostra tradizione gli spiriti sono al nostro fianco sino al 6 gennaio. Ci riesce bene Gianni D’Amato nella trasposizione di Antonello Ronga, poiché nella nostra terra il nascosto chiede con maggiore insistenza e, da più tempo, di farsi luce, ed è qui che può diventare più poroso e friabile il muro che divide il “sopra” e il “sotto”, l’ “al di qua” e l’”al di là”, l’arcaico e il presente, l’immaginario e il reale, in uno psicodramma che, nei secoli, è riuscito a penetrare la cultura e il suolo, quella “terre des morts”, purchè si aggiunga subito che qui, da noi, la morte (e il sesso, che instancabilmente la rifornisce di oggetti deperibili) anima una vita ricchissima dell’immaginario, del mitico, del magico, del religioso, del simbolico. Cos’è cambiato, infatti, con la morte? Cosa cambia – quando l’attesa resta sospesa di fronte al compimento? L’essere andato di là, nell’invisibile, ci pone assiduamente la domanda circa il di là e il di qua della soglia paurosa che tutti ci rende vili, ma anche ardenti di curiosità. Pure ci sollecita l’urgenza d’intrecciare, senza sosta, visibile e invisibile, per costruirci un veicolo, non so, magico di contatto. Tutto cambia e tutto resta per noi tutti se la morte rompe i sigilli e la parte di vita ch’era stata trattenuta fluisce e torna a noi. Il mezzo? Oda Me perfettamente interpretata da Teresa Di Florio, la quale in un pittoresco studio, assistita dalle sorelle Clara (Ludovica Ferrario) e Luisa (Chiara D’Amato), tra un tradizionale quale Wade in the water, riesce a redimersi dalle truffe perpetrate ai suoi clienti tra cui la Signora Santiago (Francesca Canale), ponendo in contatto Sam e Molly. Suicidio di Karl, anime infernali, per lui e angeli capeggiati dallo spirito guida interpretato da Caterina d’Elia a dar finalmente pace a Sam perché “Omnia vincit amor et nos cedamus amori”. Applausi e diverse chiamate al proscenio per l’intera Compagnia dell’Arte sulle note di Take me to Church, un po’ per la song che esalta il diritto di amare, un po’ per la tenacia e l’intuizione del regista Antonello Ronga e della sua squadra.