Il progetto DP66 inaugura un nuovo linguaggio fotografico - Le Cronache
Attualità

Il progetto DP66 inaugura un nuovo linguaggio fotografico

Il progetto DP66  inaugura un nuovo  linguaggio fotografico

di Andrea Orza

“Nel 1966 una donna si affretta alla ricerca di un fotografo che le scatti una fototessera. Così si sono incontrati i miei genitori e così nasce la factory Donadio & Paruolo”, spiega commosso Emilio Donadio, circondato da macchine dal valore inestimabile. Lo scenario artistico salernitano ha accolto i giovani amateurs dell’analogica e la versatilità del progetto DP66 inaugura un nuovo linguaggio fotografico. Il progetto DP66: una visione d’avanguardia che guarda al passato. Puoi spiegarcelo in breve? “Il progetto è nato nel 1966, anno di fondazione dello studio. Attualmente stiamo compiendo una nuova metamorfosi. Mio padre Gaetano ha sempre avuto occhio per le novità in campo fotografico, garantendo negli anni prodotti esclusivi riservati a fotografi esperti o ad amatori del settore. Oggi invece, vorremmo offrire allo studio “Donadio & Paruolo” un’identità meno elitaria e più comunicativa. Per adesso siamo lieti di presentare i nostri Kodak Vision 3 “DP66” frutto di un’attenta ricerca delle pellicole e 100% sostenibili, realizzati da rullini usati e bobinati manualmente da noi.” Lo studio “Donadio e Paruolo” esiste da oltre 50 anni. Come avete accolto il ritorno dello sviluppo analogico? “A differenza di molti altri non abbiamo mai mollato l’artigianato analogico. Siamo entusiasti di poter contribuire a questa svolta culturale. Ci inseriremo nel panorama salernitano come esperti che possono tramandare un significato comunitario. Ci saranno laboratori su come usare la camera oscura, metteremo insieme delle passeggiate dedicate alla fotografia urbana e presto verrà raccolto anche del materiale per una mostra a tema.” La tendenza delle camere analogiche indica anche l’affermarsi di un fenomeno culturale e generazionale. Qual è il risvolto sociale più significativo? “La modernità ha preso una piega incerta e flette alla virtualità simulata. Sociologi e psicologi studiano la controtendenza analogica come un fenomeno di massa in risposta al bisogno di creare qualcosa che sia tangibile. Questa moda, se così possiamo definirla, è anche una forma espressiva a sé stante e completamente diversa dalla pittura digitale ormai canonizzata. Ognuno ha un suo modo d’intendere l’esperienza analogica, ma l’inspiegabile ritorno della raccolta fotografica ha dei riscontri comuni. In rilievo c’è sia l’enigma dello scatto accompagnato dal dubbio che sia venuto come si sperava, sia la qualità terapeutica dell’attesa. I lettori maturi sapranno che una volta terminato il rullino bisogna saper aspettare che la reazione chimica faccia il suo corso. Solo alla fine viene riservato il momento della contemplazione. Inoltre, gli scatti non vengono fatti in maniera compulsiva ma si aspetta l’intuizione giusta, insegnando a dare valore ai momenti importanti.” DP66 “Scatta quello che sei” è molto più che uno slogan. Cosa vuole stimolare? “Anche il gioco in rima è voluto e fondato su uno studio approfondito sui clienti. Esiste un’esigenza alla concretizzazione che fa da contraltare alla cultura digitale. In particolare, abbiamo riscontrato tra i più giovani una tendenza “nofilter”. Spesso, infatti, una volta sviluppato il rullino non viene ritoccata la nostra scansione. Lo slogan orecchiabile sintetizza al meglio la necessità di conservare una traccia della realtà così com’è a seconda della percezione individuale.”