A 70 anni dall’alluvione il Fusandola resta un osservato speciale - Le Cronache
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A 70 anni dall’alluvione il Fusandola resta un osservato speciale

A 70 anni dall’alluvione il Fusandola resta un osservato speciale

di Clemente Ultimo

 Il gusto deciso di un caffè sorseggiato in un locale che, in una manciata di metri quadrati, è bar, trattoria e cucina d’asporto – interessante, almeno a giudicare dagli odori intensi che accompagnano quello del caffè – non basta ad allontanare un senso di sottile inquietudine che si è insinuato nel cervello dopo alcune ore trascorse sui sentieri delle colline che circondano la città.

Una sorta di ritornello – «non succede ché non succede, ma se succede…» – accomuna le mie riflessioni a quelle di Domenico Negro, l’amico e geologo che è stato la mia guida in questa ricognizione condotta “scarponi sul terreno” – quante volte ho ringraziato la mia suola Vibram per la sua aderenza sul fondo scivoloso in queste ore! – in uno dei punti più interessanti e delicati di Salerno. In un’area che, a buon passo, non dista più di dieci minuti dal centro, ma che resta un corpo separato – e spesso ignorato – del tessuto urbano: Canalone.

Ma perché inerpicarsi lungo le ripide strade del rione? Il motivo, in realtà, è molto semplice: arrivati ormai alla soglia di un anniversario “tondo” come quello dei 70 anni, quale chiave è ancora possibile trovare per ricordare l’alluvione del 1954? Un evento inciso profondamente nella memoria collettiva della città che, tuttavia, con il naturale succedersi delle generazioni rischia di cristallizzarsi in un passato lontano privo di legami con la contemporaneità, un po’ come il passaggio di Garibaldi o lo sbarco alleato del ’43. È nel tentativo di trovare risposta a questa esigenza che arriva il classico uovo di Colombo: osservare da vicino il protagonista di quegli eventi: il Fusandola. Un corso d’acqua quasi invisibile che, gonfiandosi d’improvviso, alla fine dell’ottobre del ‘54 portò morte e distruzione a valle.

Un torrente – come il territorio che lo circonda – è una realtà dinamica, in continua evoluzione, ed è per questo che risalirne il corso significa guardare al passato – l’alluvione di 68 anni fa –, al presente e soprattutto al futuro, a quello che il Fusandola potrebbe ancora provocare, a quel che è necessario fare per garantire la sicurezza di chi, serenamente, semplicemente ignora l’esistenza stessa di questa parte di Salerno pur vivendo a pochi minuti di distanza.

Perché questa è “terra incognita” per molti, forse anche per chi dovrebbe conoscerla. Ma ciò non sorprende. Del resto già il percorso di avvicinamento a Canalone niente altro è se non un progressivo distacco non tanto dal centro, quanto da quel perimetro – ideale prima ancora che fisico – che delimita l’area che per molti è la Salerno “reale”, quella conosciuta, quella da vivere: il centro e poco altro. Il passaggio da Sant’Eremita a Canalone, infatti, è segnato da due edifici che possono ben essere considerati il simbolo di quel centro storico alto dimenticato: i due complessi delle ex carceri maschili e femminili, spazi abbandonati al degrado ed all’incuria.

Il primo impatto con il Fusandola è quello che si ha affacciandosi dal ponte di via Alfonso Gatto. Qui è possibile osservare una delle grandi briglie realizzate all’indomani dell’alluvione: obiettivo spezzare l’impeto di un’eventuale nuova ondata di piena, impedendo l’arrivo a valle di detriti e fango. Una fitta vegetazione ricopre l’intera area. «Questo – chiosa Domenico Negro – potrebbe non essere un problema, a prima vista non sembra esserci un accumulo di detriti significativo. Di certo arbusti ed alberi cresciuti in abbondanza ostacolano una attenta osservazione delle sponde e dell’alveo».

La situazione non cambia molto seguendo il percorso disegnato dal Fusandola attraverso l’abitato di Canalone: molta vegetazione, un po’ di detriti accumulati nell’alveo che condizionano il flusso del torrente, ma qui gli spazi disegnati per contenere e spezzare l’impeto dell’acqua ci sono ancora. Certo, proseguendo nel cammino, colpisce vedere – mappe alla mano – come le abitazioni investite dalle frane del 1954 siano state ricostruite esattamente dov’erano; in qualche caso al termine di canaloni ed impluvi, ovvero in aree a rischio, in qualche caso ad alto rischio.

La situazione cambia profondamente alla fine dell’abitato del piccolo rione collinare. Nel momento in cui ci accingiamo ad attraversare quello che sulla mappa dovrebbe essere un ponticello, ci rendiamo conto che in questa zona i detriti hanno colmato completamente quella sorta di “vasca” creata originariamente dalla briglia, che ormai si trova a livello del suolo. Quello che avrebbe dovuto essere uno spazio destinato a smorzare l’impeto della piena del torrente è oggi piano di calpestio, tanto che al nostro arrivo viene ad accoglierci, al piccolo trotto, un cavallo. Il suo proprietario ci raggiunge poco dopo, raccontandoci come l’interramento sia ormai risalente a vecchia data e di come, negli ultimi anni, il regime delle acque si sia profondamente modificato. Quanto a lavori di manutenzione – ci dice – non ne ha memoria.

Ormai a costeggiare il Fusandola è un vero e proprio sentiero, da cui possiamo notare come l’interramento delle aree delimitate dalle briglie sia sempre più diffuso ed evidente man mano che si procede verso monte.

«Nella parte non urbanizzata – sottolinea Domenico Negro – si vede come le briglie costruite post evento del 1954 sia per modificare il profilo a “V” del corso d’acqua così da rallentare un’eventuale piena, sia per bloccare i detriti, ora che sono completamente interrite non svolgono più quella funzione. Per di più tutto il materiale accumulato potrebbe essere rimobilitato da una piena e trasportato a valle». Si è venuta quindi a creare una situazione paradossale: «In questo caso – prosegue – si ha una situazione nella quale un’eventuale piena ha più facilità di deflusso perché non trova praticamente nessun ostacolo, anzi trova un bell’imbocco dato dalle briglie che sono ormai quasi alla stessa quota in questo tratto dell’alveo. Addirittura ci sono alberi anche di alto fusto dentro».

Procedendo in questa ricognizione “scarponi sul terreno”, ci si rende ben presto conto che la situazione a monte dell’abitato è sempre la stessa, l’interramento ha portato ad un riutilizzo degli spazi con funzione diametralmente opposta a quella immaginata dagli interventi post-alluvione. Addirittura in uno degli ultimi punti in cui furono realizzate le briglie è stata realizzata una porcilaia, con gli animali che vengono ricoverati al di sotto di una di esse. La valutazione del geologo è una sola: «Sicuramente andrebbe ripristinata la loro funzionalità che non è più attiva».

Ed ecco spiegato perché, ritornando verso casa, un ritornello si insinua tra animo e cervello.