Il Beato Alberto e la voce di zia Giuseppina - Le Cronache
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Il Beato Alberto e la voce di zia Giuseppina

Il Beato Alberto e la voce di zia Giuseppina

di Antonio Manzo

E’ un’altra Italia, profondo Sud. Tra Vecchio e Nuovo millennio. La storia che raccontiamo si consuma in tre date che si accavallano tra due secoli. Sono le date di un lungo calendario di storia italiana che conta i suoi primi fogli il 25 maggio del 1957, quando inizia una affollata e discussa credenza popolare che durerà lunghi decenni a Serradarce di Campagna, una frazione del nobile centro salernitano. La incarna e la possiede una donna del popolo Giuseppina Gonnella che sostiene di aver incarnato l’ anima del nipote di Alberto, morto tragicamente ad appena ventidue anni. La vita di zia Giuseppina si conclude tragicamente, ma solo per la cronaca, l’11 gennaio 1972, sempre del secolo scorso, quando a colpi di lupara l’autista di un pullman di fedeli, Francesco Manganelli di Trentinara, stronca la vita della donna che a lungo ha predicato una presunta fede popolare, facendosi “prestare” la voce dall’aldilà da un nipote tragicamente morto sul lavoro. La “voce” è quella della giovane vittima Alberto Gonnella , un ex seminarista, che muore il 25 maggio 1957, travolto dal ribaltabile di un camion Leoncino dello zio mentre era impegnato a scaricare sabbia per i lavori in corso della costruzione dell’allora nascente autostrada Salerno –Reggio Calabria. Inizia così, mentre l’Italia vive il suo boom economico e aspetta che la Fiat venda le prime <500>, la costruzione di un potere taumaturgico peculiare dopo la morte del giovane Alberto. Serradarce diventa nota in tutt’Italia fino a giovedì 25 ottobre quando all’ennesima ed annuale celebrazione del Beato Alberto non si presentano che una ventina di fedeli con la banda musicale di Contursi Terme con nove elementi. La frazione di Serradarce di Campagna, uno dei luoghi italiani noti per la produzione di olio d’oliva doc, è ormai sanamente distratta da ben 14 frantoi che lavorano in un fazzoletto di terra coltivata a uliveti. La strada nazionale costeggiata da un grumo di case è tranquillamente al lavoro e libera: da anni, infatti, la tappa di Serradarce è scomparsa dalle agende dei venditori ambulanti di torroni e giocattoli che sono l’indice più credibile di remunerato accompagnamento “ludico” della folla di fedeli. E’ solo uno sbiadito ricordo di quelle bancarelle tra la folla migliaia di fedeli che accorrono alle quotidiane prediche di zia Giuseppina. Le pronuncia all’inizio delle performance “miracolistiche” avvenne nella parrocchia di Santa Maria la Nova, poi vietata dalla Chiesa ufficiale e, infine, in un garage di proprietà per approdare poi al Tempio con una scala santa, due piani che tuttora spiccano con un altare ed una cappella dove non si prega e invoca più il Beato Alberto. La “chiesa del Beato Alberto” , due piani immensi che dovevano diventare casa di accoglienza, viene donata dai familiari di Giuseppina Gonnella. L’ipotesi di demolire il Sacro Tempio viene scartata subito perché prevale la volontà della famiglia. La “pastorale immobiliarista” dell’allora Chiesa salernitana nel 1994 prevale ed emette un “sacro condono” non per legittimare la costruzione del tempio ma per accettare il dono della famiglia <per culto e beneficenza in memoria del fratello Alberto>, motiva la Curia salernitana. E’ il 7 febbraio del 1994 e il consiglio diocesano per gli affari economici si riunisce presieduto dall’allora arcivescovo per esprimere parere favorevole sull’accettazione della donazione dei familiari del Beato Alberto, così come lo definiscono i familiari in attesa di un processo canonico per la sanità di Alberto, un processo che non arriverà mai. La “pastorale immobiliarista” procede ad una sorta di “condono sacro” della chiesa che ospita per decenni un culto parareligioso più volte contestato e messo all’indice. Resta agli atti e nella storia dell’archivio diocesano la lettera dell’allora arcivescovo Pollio che diciotto anni prima, nel 1976, comunica alla famiglia Gonnella la sua disponibilità ad accogliere la donazione del Tempio a condizione che <cessi ogni atto superstizioso, si chiuda la casa di Alberto> . Ma cosa resta oggi del culto del Beato Alberto? Lo verifichiamo giovedì 25 ottobre, data di celebrazione di una Messa per ricordare la nascita di Alberto Gonnella. A Serradarce c’è la sede di gruppo di preghiera associazione di volontariato dedicato ad Alberto. E’ un negozio-santuario dove Antonella Gonnella, della famiglia di Alberto, gestisce tra i residui degli ex voto salvati da un furto e le foto del Beato. E’ lei che accoglie lo sparuto gruppo di fedeli in una giornata di sole di ottobre. E’ lei che organizza la processione, è lei che ha tra le mani un megafono per intonare canti e preghiere. Alla testa della processione c’è un signore con doppiopetto bleu e guanti bianchi che sorregge e trasporta in processione il labaro dell’associazione di culto per Alberto, del piccolo comune di Riccia provincia di Campobasso. Nello stesso momento della processione celebra la Messa nel Tempio costruito da Giuseppina Gonnella, padre Michele Vassallo dell’associazione internazionale Rinnovamento carismatico Servi di Cristo Vivo di diritto Pontificio. E’ lui il prete in comodato d’uso per la gestione del Tempio. Alla sua associazione fu dato in comodato d’uso il Tempio “condonato” dalla Curia del tempo. Padre Vassallo è parroco nella ex chiesa di Alberto e capo di un movimento carismatico che organizza raduni religiosi allo stadio Arechi di Salerno o al Pala Cilento di Torchiara. E’ anche titolare di un sito web della sua associazione con il dott. Ironi Spuldaro che predica meditazioni agli ammalati dei raduni. Padre Vassallo predica ad una decine di fedeli per la Messa che ricorda la nascita di Alberto, nessun cenno alla commemorazione. Lui da anni tenta di far capire che la religione popolare non può contravvenire alle ragioni della fede.

Ma guida un Tempio religioso che fu al confine di una religiosità popolare con una storia di possessione e della creazione di un santo mai beatificato. La Chiesa ufficiale insorge ancora. Il popolo dei miracoli acclamava zia Giuseppina chiedendole miracoli, benedizioni, presentandosi puntualmente alla folla dei fedeli alle 8.34 di ogni mattina a bordo di una Fiat 1500. Non è casuale la scelta notarile dell’orario per assolvere ad un rito quasi liturgico: a quell’ora la mente avrebbe dovuto riportare tutte le menti indietro nel tempo, all’ora esatta della tragica morte di Alberto che “consegna” alla zia prediletta il miracolo della possessione. qualche giorno dopo la tragedia mentre Giuseppina si rialza con espressione estatica dopo aver riposato sul letto di casa del nipote. La magica ritualità si insinua tra la religiosità popolare che nelle le regioni del Sud, dove la povertà assiste alla performance liturgica fondata sulla reincarnazione vocale del Glorioso Alberto. La possessione benefica di Giuseppina dura quindici anni, dal 1957 fino alla tragica scomparsa dell 11 gennaio 67 colpita da un uomo a colpi di lupara. Resterà tre giorni in ospedale. Muore alle due della notte tra l’11 e il 14 ggennaio1972. Il culto del Beato Alberto dura ben 65 anni attraversando due secoli e contando milioni di fedeli, soprattutto meridionali, afflitti dal peso di credere ad una singolare religiosità popolare costruita sull’effetto della credenza che inizia sabato, 25 maggio 1957. Nonostante la giornata quasi festiva, una morte bianca. Si sarebbe chiamato così quell’incidente mortale sul lavoro. Alberto Gonnella muore schiacciato da un Fiat Leoncino targato Salerno 15690. Il giovane è Alberto Gonnella- Il suo nome non sarà mai nell immaginario elenco dei morti sul lavoro del tempo ma per ben 65 anni la vittima, colpito da una morte tragica in giovanissima età, sarà al centro di un fatto generato da parole inventate da credenze, fino al punto da mobilitare giornalisti e antropologi a raccontare un presunta fabbrica di soldi costruita al confine del fatto “certo” e da una miriade di “verità” miracolistiche alimentate dalla voce prestata alla zia della giovane vittima perché diventare culto popolare e incarnasse una storia di santità inventata grazie allo spirito del giovane defunto che parla per bocca di “zia Giuseppina” per offrire prediche, consigli e dietro offerte anche confessioni private. Migliaia e migliaia di persone arrivano per l’ inconsueta preghiera dettata da una donna che incarna lo spirito di un nipote tragicamente morto. Serradarce, una frazione di Campagna, diventa meta di pellegrinaggi dalle province del sud da Salerno a Campobasso, da Napoli, Avellino e Caserta. Ma dura il Tempio del Beato Alberto fino al 1972 quando Manganelli uccide Giuseppina. Fu condannato ma per lui scattò anche una perizia giudiziaria dopo la rincorsa di due piste di indagine di due pubblici ministeri. Manganelli spara ancora nel 1990 ed uccide una donna. Non era infermo di mente? Ma cosa fu Giuseppina Gonnella? La risposta è nello studio profetico del 2006 di uno dei migliori antropologi italiani, Paolo Apolito. <Un fenomeno da rispettare. Per evitare che le parole risucchino le eventualità esistenziali. Silenzio. Anche per Giuseppina.>