La Fontana Felice, l’Utopia di Ugo Marano e il ripascimento farlocco delle spiagge - Le Cronache
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La Fontana Felice, l’Utopia di Ugo Marano e il ripascimento farlocco delle spiagge

La Fontana Felice, l’Utopia di Ugo Marano e il ripascimento farlocco delle spiagge

di Michelangelo Russo

Da giorni tiene banco (purtroppo solo su queste colonne) la vicenda della triste sorte di un capolavoro dell’arte moderna quale la Fontana Felice di Marano. Sfregiata ed ignorata, è caduta nel dimenticatoio come quella Fondazione Menna che nei proclami dell’allora due volte Presidente Tringali (presidente della fondazione e presidente di Corte d’Appello) doveva essere il volano della ricrescita culturale di Salerno. Macché. L’abbandono dei simboli della cultura più, e meno, recente di una città che pure conservare tesori ancora inesplorati indica l’inesistenza di capacità di risposte politiche ad emergenze sotto gli occhi di tutti. Il degrado dell’opera di Marano è parallelo all’abbandono dell’attigua statua della Libertà del 1912, altro capolavoro di un salernitano Gaetano Chiaromonte (più famoso in America Latina che a casa sua, ovviamente!). Ed è parallelo al degrado del monumentale vecchio Tribunale, che sta a 100 metri, sempre più in abbandono. In questo contesto, dire che la Fontana Felice è stata un’idea infelice per collocazione, visti i vandali prevedibili, significa offendere la memoria e l’anima di Ugo Marano. L’articolo del 4 ottobre di Alfonso Conte ne ha celebrato l’umanesimo profondo, e la visione fideistica di un sacerdote laico dell’arte. Marano volle la delicatissima struttura di ceramica come richiamo ad una architettura essenziale del vivere comune, rispettosa del ritmo lento e naturale in cui la civiltà dell’uomo si è sviluppata per millenni prima del caos. E quando Conte gli prospettò i danni delle pallonate dei ragazzini, Marano, ineffabile, gli rispose che quei ragazzini impareranno poi a rispettare l’arte diffusa nel contesto cittadino.

Marano aveva ragione. Accadde così, come per la Fontana Felice, anche per il Davide di Michelangelo: la sera prima della sua collocazione definitiva, il 18 maggio1504, nella piazza di Palazzo Vecchio, un gruppo di ragazzacci danneggiò la statua, altra 5 metri, danneggiandola non poco. Con enorme pazienza, Michelangelo Buonarroti la riparò sul posto nei giorni seguenti. Nel 1527 altri danni durante tumulti cittadini frantumarono il braccio sinistro in tre pezzi. Fu Giorgio Vasari a raccogliere il giorno dopo i pezzi del Davide a terra, nascondendoli per preservarli fino al restauro, avvenuto quando la calma tornò a Firenze. Ma alla fine vinse la statua, rimasta al suo posto per quasi 370 anni prima del ricovero definitivo al chiuso alla Galleria dell’Accademia. Le opere d’arte possono sopravvivere, quindi, per secoli quando le città capiscono il dono ricevuto. Basta avere la stessa fede di Michelangelo, che riparò il Davide convinto di un suo futuro su piazza Signoria. Anche il nostro Ugo Marano riparò più di una volta la fontana e alcune mattonelle. Poi fu il Comune a disinteressarsi, non lui. Se fosse vivo, oggi starebbe ancora, con calce e colla, ad azzeccare piastrelle e vasi riparatori, cocciuto nella sua fede sulla vittoria finale dell’intelligenza. Rifare la fontana, “come era e dove era” (con queste parole d’ordine i veneziani rifecero in pochissimo tempo il campanile di San Marco subito dopo il suo crollo nel 1901) è un imperativo per Salerno. Per la sua dignità di città civile, e per le generazioni di quei “ragazzacci” che devono crescere. E veniamo alla questione economica. Sono in arrivo un mucchio di soldi. Per un Masterplan di tutta la costa fino ad Agropoli, che, tra diverse cose buone, porterà anche molte cose cattive e devastanti. Di questo parleremo presto. E poi, come ha detto giorni fa l’Assessore Brigante, sono in arrivo anche parecchi milioni per il ripascimento del litorale da Pastena alla foce dell’Irno. Si spera, non con la sabbia di cave dei soliti noti, con cui è stato sfregiato l’arenile farlocco della spiaggia fino al lido Colombo. Quando il potere politico vuole, i soldi escono sempre, anche, e soprattutto, per le opere che servono a poco. Chissà perché, i soldi, anche pochi, non escono mai per le cose che segnano le tacche dell’orologio della storia cittadina, come le opere d’arte.