La Fontana Felice e il genio di Ugo Marano - Le Cronache
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La Fontana Felice e il genio di Ugo Marano

La Fontana Felice e il genio di Ugo Marano

di Alfonso Conte

 

Il piccolo libro di Ugo Marano Fontana felice (Laveglia editore, Salerno 1998, 48 pagine di cui un sedicesimo in bianco e nero e due a colori, formato 13×21) fu pubblicato un paio di anni dopo la realizzazione dell’opera, soprattutto perché l’autore, allarmato dai continui danneggiamenti, volle che almeno si conservasse una testimonianza di come l’aveva concepita e delle condizioni in cui l’aveva consegnata alla città. Nessuna spiegazione o saggio critico, ma solo un testo sulle motivazioni ideali all’origine del progetto e poi soprattutto foto, di insieme e di particolari, della fontana e della panca poste di fronte alla chiesa di san Pietro.

Anche in quell’occasione, come tante altre volte, Ugo contagiò di entusiasmo coloro che scelse a fargli compagnia, individuati per le speciali competenze, ma anche per la capacità di condividere il senso del tratto di strada che andava percorso. Dopo aver plasmato e cotto le mattonelle presso la fornace dei Fratelli De Martino a Rufoli d’Ogliara e aver chiamato a tagliarle con la scalpellina, “una diversa dall’altra”, il maestro Magno Della Rocca, volle che a fotografarle fosse Raffaele Venturini, a impaginare e curare l’editing del libro Pietro Amos, a stampare Donato Galdi di Arti Grafiche Sud. A promuovere e sostenere il progetto insieme a Ugo vi era Pasquale Persico, economista e docente universitario, allora assessore allo sviluppo del Comune di Salerno nella prima giunta presieduta dal sindaco De Luca dopo le elezioni del 1993, nonché direttore della collana “le città degli uomini” da poco avviata con Laveglia, in cui fu compreso anche Fontana felice. Proprio per questo mi ritrovai anch’io, a quel tempo giovane ed inesperto piccolo editore, a far parte del gruppo incaricato di realizzare e pubblicare un libro destinato all’insuccesso economico per la scarsa platea cui era destinato, come Ugo mi chiarì fin dall’inizio e come mi avrebbe ribadito sorridendo anche in occasione di tutte le sue altre pubblicazioni da me curate (pur aiutandomi e riuscendo sempre a non farmi perdere neanche una lira). Infatti, il risultato finale fu un piccolo gioiellino editoriale, sintesi di elevate professionalità messe a disposizione amichevolmente per agevolare quella che era considerata una necessaria operazione artistica e culturale, ma appannaggio di pochi, di certo tra i libri su Salerno meno diffusi. Non guadagnai soldi, ma ebbi la possibilità, curando la produzione e cucendo le diverse fasi della lavorazione, di fare ricca esperienza delle pazienti attese di Raffaele della luce adatta ad ogni scatto, delle fertili meditazioni di Pietro davanti al tavolo di composizione, dell’ansiosa agitazione di Donato alle prese con la miscela di inchiostri da immettere nella rotativa. E, soprattutto, della compagnia di Ugo, il quale, mentre il libro prendeva forma, mi rendeva partecipe, affabulandomi, giocosamente distaccato e allo stesso tempo completamente coinvolto, di un’opera che lo impegnava ormai da qualche anno.

Pensa, mi diceva, questa fontana poteva essere commissionata da un miliardario, poteva stare nel giardino di una villa, dove solo pochi ricchi avrebbero potuto vederla. Io e Pasquale, invece, l’abbiamo voluta al centro della città, visibile a tutti. Il mese scorso, continuava, l’ha vista Mendini, mi ha detto che avrebbe meritato altra collocazione, che la fontana è bella, ma la panca è straordinaria. Io gli ho risposto che è proprio qui che quest’opera prende forma, si completa, quando due anziani si siedono a chiacchierare, quando le signore vi passano accanto cariche di borse, quando i bambini allungano la mano per giocare con la goccia d’acqua. Il bello entra nella vita quotidiana fino a farne parte, anche chi non ha avuto la possibilità può sperimentare che l’arte rende la vita più sopportabile.

Ma Ugo, provavo a interloquire, purtroppo in pochi sembrano capire, continuano a romperla …

Non ti preoccupare, subito mi interrompeva, capiranno, sempre di più. Lo sai dopo quanti secondi fuoriesce la goccia dal lungo becco del direttore delle acque? Il tecnico voleva regolarla per farla uscire più veloce, mi diceva che le persone non avrebbero aspettato … e invece io ho voluto che passassero più di trenta secondi. Da sempre le fontane attraggono per i getti d’acqua che zampillano dai suoi cannelli. Sono le fontane del passato e sono tristi, perché sono state realizzate per impressionare, per fare spettacolo. Questa fontana invece è contemporanea, è felice perché è lenta, non è in competizione con le altre, ci ricorda di vivere secondo i tempi lunghi della natura, che è arte regina. Per questo la fontana della città deve stare al centro della città, là dove più forte è la tentazione di correre, di farsi prendere dalla frenesia, di rifiutare il tempo dell’attesa.

Ma Ugo, provavo ancora timidamente, se continuano a romperla …

Lo sai che mi ha detto il funzionario comunale? Mi ha proposto di sostituire il becco in ceramica con uno in ferro, per evitare di sostituirlo in continuazione. Gli ho spiegato che invece no, con dolcezza ma con fermezza, che il becco deve essere lungo e in ceramica, deve essere fragile. L’arte contemporanea non deve sfidare i tempi, deve rischiare anche di scomparire, pur di sfuggire alla sorte di essere per pochi privilegiati, custodita da sistemi di allarme e vetri blindati, recintata all’interno di musei a pagamento o, ancora peggio, di collezioni private. Quando sarà riconosciuta come testimonianza della bellezza necessaria a tutti, anche i bambini faranno attenzione a non colpirla a pallonate, anche gli adulti in vena di bravate la rispetteranno. È un’utopia possibile. Dobbiamo osare, essere coraggiosi, assumere la fantasia come “progetto di filosofia urbana”, continuare a inseguire il sogno di contribuire alla nascita di “città di nuove libertà”.