I diversi volti della Salerno musicale - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

I diversi volti della Salerno musicale

I diversi volti della Salerno musicale

Dalla maratona dedicata a Mozart dalla associazione Scarlatti in San Giorgio al ritorno trionfale di Rita Marcotulli e Javier Girotto alla Sala Pasolini,  con il progetto Truffaut, ospite del cartellone di Tempi Moderni, mentre al Verdi Daniel Oren provava l’Adriana Lecouvreur, per una città trasformata in scatola sonora

 

di Olga Chieffi

Dallo scrigno prezioso della chiesa di San Giorgio, dove venerdì sera si è conclusa la seconda giornata della maratona promossa dalla Associazione Alessandro Scarlatti, in collaborazione con il Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, dedicata al pianismo da camera, di Wolfgang Amadeus Mozart, alla Sala Pasolini ove l’Associazione Tempi Moderni ha ospitato il progetto Truffaut, di Rita Marcotulli, opera complessa, che sposa la battaglia di sapore adorniano, dell’ingresso della “musica nuova” accanto alle immagini, passando per il teatro Verdi, dove si è provato con Daniel Oren l’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, mai rappresentata in città, è un solo pas de chat, per dirla in linguaggio coreutico. Una giornata intensamente densa di musica, che ha aperto il week-end nel segno di un’offerta culturale di alto spessore. Federico Cirillo, William Pio Cristiano, Alessandro Amendola e il duo di Raffella De Vita e Manuela Lorenzo, sono stati latori di stupori infiniti di fronte alle immagini sempre diverse e inesauribili del discorso mozartiano, obbligando il pubblico in sala ad accorgersi che l’osservazione viene fatta con l’occhio angelico e demoniaco assieme di un musicista che non cessa mai di essere inquietante. Strada affatto semplice, che diventa integrazione dialettica fra ritmi visivi e ritmi musicali, fra sequenze filmiche e frasi melodiche, fra immagini e suoni, capace di conferire all’una e all’altra arte una nuova dimensione espressiva, assumendo quasi funzione di contrappunto musicale alle immagini visive, quella percorsa dalla pianista Rita Marcotulli, nell’ “Omaggio a Truffaut”, “The Woman Next Door”, ospite del cartellone di Tempi Moderni che Marco Russo ha inteso imperniare sulla Nouvelle Vague. L’ensemble che schierava Javier Girotto a sax soprano e quena, Aurora Barbatelli all’arpa celtica, Roberto Gatto alla batteria, Vince Abbracciante alla fisarmonica e Ares Tavolazzi al contrabbasso è riuscito a prodursi in una performance di grande intensità emozionale, impiegando il proprio sentire musicale, gli accordi, le dissonanze, le sincopi o le iterazioni per rafforzare la dinamicità delle inquadrature, degli spezzoni di film, di Truffaut, montati dalla regista Maria Teresa De Vito, in una sorta di raddoppiamento dell’effetto drammaturgico, in cui dramma sta per “azione”, da drao, agire e spettacolare, sia che s’abbia voluto sottolineare la tensione interna, magari attraverso un contrasto semantico fra immagini e suoni, sia che si sia voluto dare al singolo personaggio o alla situazione, una propria figurazione musicale e ritmica, in sintonia e in sincronia con i caratteri visivi, in un intento di empatia dialettica fra i due diversi materiali artistici. Rita Marcotulli ha composto la sua musica, su di uno spartito visivo, con tanto di tempi, movimenti, ritmi, pause, consonanze, a partire da Fragments, in veste di ouverture, passando poi, per Songs of innocence, in cui Javier Girotto al flauto andino ha evocato la cattura del Ragazzo Selvaggio, per poi passare al Songs of experience, basato su di una frase di Freud, affermante che non si fugge mai verso, ma sempre da qualcosa, integrata con un intenso solo di arpa celtica, seguito sulle immagini dei Quattrocento Colpi, con il sax soprano protagonista ai limiti estremi. Omaggio al mare, uno e libero con Music en Jeu, con una Rita Marcotulli impegnata in uno Scherzo al pianoforte preparato, in un percorso arabo-modale. L’apertura del suono mitologico del flauto per i libri bruciati, di Fahrenait 451, per quel deserto non solo culturale che ci attanaglia e tarantella, danza sacra, nella notte dei tempi, funebre, che dà la possibilità agli uomini di porsi in contatto col dio e di oltrepassare i propri limiti umani, come i personaggi del film che si sono trasformati nei libri stessi. Stupenda l’invenzione di Rita Marcotulli quella di tradurre il nome ripetuto ossessivamente allo specchio di Antoine Doinel nel linguaggio morse e rubarne la ritmica, in un gioco che ha salutato Girotto alla quena e la voce della pianista scandire i punti e le linee del linguaggio telegrafico, sfociante poi in un intenso blues affidato alla fisarmonica, prima di chiudere il programma ufficiale con Que rest-t’il de nos amours, leitmotive di Baci rubati, con il tema esposto limpidamente dal soprano, con cui Girotto ha offerto dimostrazione di essere in possesso, non solo di quell’abituale suono e fraseggio dirompente e progressivamente sferzante, ma anche di un timbro purissimo, quasi simulando la creazione del suono allo scopo di farlo giungere pieno, all’orecchio e iridescente, pervasivo e persuasivo. Applausi entusiasti del pubblico e bis con un Cheyenne, in cui ancora protagonista è stato il soprano, liberato e liberatorio, come la sua quintessenziale arte.