Non è una giustizia per poveri .Si difenda chi può - Le Cronache
Cronaca

Non è una giustizia per poveri .Si difenda chi può

Non è una giustizia per poveri .Si difenda chi può

di Arnaldo Franco*

 

Mi permetto di scomodare McCarthy e Kundera collegandoli icasticamente a un argomento complesso e delicato, quasi inaffrontabile nell’angusto spazio di questo scritto, vergato superando l’inevitabile timore di apparire sbrigativo e superficiale.

Scarsamente dibattuto, il tema dei “costi” della difesa è viceversa centrale rispetto ai principi del “giusto processo” delineati dall’art. 111 Cost. e consustanziale alle battaglie degli Avvocati Penalisti svolte in difesa dei diritti civili.

Si sa che, a differenza di altri ambiti giurisdizionali, il processo penale è espressione della c.d. pretesa punitiva dello Stato.

Il cittadino, pertanto, normalmente non lo promuove, ma lo subisce.

All’esercizio della potestà statuale corrisponde il diritto di difesa che, in evidente dissonanza concettuale, impone all’indagato/imputato l’obbligo di assicurarsi la difesa tecnica.

Per poter fronteggiare le accuse mosse da un PM che dispone di mezzi e risorse pressoché illimitati, egli si troverà ad affrontare gli oneri economici derivanti dall’”esercizio del diritto di difesa” (e difendersi significa assicurarsi l’assistenza tecnica e la difesa legale fiduciaria, svolgere indagini difensive, avvalersi di consulenti, effettuare trasferte, farsi rilasciare copie degli atti processuali, presenziare ad atti procedimentali e a udienze), che resteranno a suo carico anche nel caso di assoluzione con formula piena.

Stiamo parlando di un imprevisto e gravoso impegno economico che si abbatte sulle vite delle persone, a volte insostenibile (come, ad esempio, nei processi complessi, a carico di numerosi imputati e che si svolgono in sedi giudiziarie distanti dal luogo di residenza) e che comunque molte “tasche” non possono permettersi (un esempio, tra i tanti: il rilascio di copia di un supporto informatico – cioè di un semplice CD-Rom del costo commerciale di pochi centesimi di euro, che consenta all’interessato di ascoltare le intercettazioni telefoniche utilizzate per sostenere l’accusa nei suoi confronti, richiede una spesa che si aggira intorno a euro 250,00 -!-).

Sul punto, il dato statistico (Dati Eurispes – Unione delle Camere Penali Italiane – Anno 2019) secondo il quale, per i procedimenti conclusi con sentenza, le assoluzioni rappresentano circa il 25% del totale, consente di stabilire quanti imputati (1 su 4: tanti, troppi) subiscono un processo pur essendo innocenti.

Non va certo sottaciuto che ai cittadini meno facoltosi è consentito ricorrere all’istituto del “patrocinio a spese dello Stato”, che esonera dai costi del processo, ma ad esso si ha diritto di accedere solo in presenza di un reddito massimo che rasenta l’indigenza.

Viceversa, i costi della “difesa d’ufficio”, prevista nei casi in cui l’interessato non abbia o non intenda nominare un difensore di fiducia, restano comunque a carico di questi (art. 31 disp att. c.p.p.).

Per molteplici ragioni che non possono essere qui approfondite (tra le quali la sproporzione esistente tra l’impegno professionale richiesto e le liquidazioni giudiziali dei relativi onorari – spesso scandalose negli importi e nei tempi di realizzazione – e la mancanza di un adeguato controllo sulla “qualità” delle prestazioni forensi) sia il gratuito patrocinio che la difesa d’ufficio corrono il rischio di realizzare simulacri di difesa, dove prevale l’apparenza sulla sostanza.

In un sistema così regolamentato, è immanente il rischio che anche in Italia, al pari di quanto accade in altri Paesi, i costi del processo inducano sempre di più il cittadino, per scelta obbligata da contingenze economiche e non per serena e consapevole ponderazione strategica, a ricorrere all’adozione di riti alternativi (patteggiamento o giudizio abbreviato), più rapidi e meno onerosi, rinunciando così alla possibilità di difendersi.

Si consideri la gravità di tali evenienze nel caso in cui esse possano corrispondere a precise scelte di politica giudiziaria finalizzate alla riduzione dell’asfissiante arretrato.

La Legge di bilancio n. 178/2020, all’art. 1, ai commi 1015-1022, ha previsto che nel processo penale, per le sentenze divenute irrevocabili a far data dal 1° gennaio 2021, ”, sia riconosciuto il rimborso delle spese legali nel limite massimo di euro 10.500,00 all’imputato assolto con le formule “perché il fatto non sussiste”, “perché non ha commesso il fatto” o “perché il fatto non costituisce reato” o “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Il Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, ha emanato il Decreto attuativo – Decreto Interministeriale Giustizia-MEF 20 dicembre 2021– che definisce i criteri e le modalità di erogazione del rimborso.

 

In generale, è evidente che si tratta di una cifra insufficiente a rimborsare le spese legali sostenute nell’ambito di processi complessi e di lunga durata, senza contare che tale ristoro, anche se integrale, non compensa il danno, morale ed economico, subìto da una persona sottoposta per anni ad un processo penale; l’indennizzo ottenuto dall’imputato assolto (comunque tardivo rispetto al momento dell’esborso) avrà, pertanto, un valore poco più che simbolico.

La complessità della procedura di accesso al fondo (dovendo la richiesta contenere informazioni specifiche relative alla sentenza ed essere corredata da numerosi allegati tecnici), rende difficile immaginare che il privato sia in grado di presentare l’istanza senza dover ricorrere, con ennesimo aggravio di costi, all’assistenza di un legale. La limitatezza del fondo stanziato (dotazione di euro 8 milioni annui a decorrere dall’anno 2021) e la creazione di stringenti criteri di valutazione delle istanze di accesso determineranno prevedibilmente l’esclusione di molti soggetti dalla platea dei beneficiari.

L’introduzione del Fondo, pur tuttavia, sancisce un principio importante, ovvero che lo Stato deve ristorare il cittadino che si è trovato a subire il peso gravoso e l’onta di un processo fondato su di un’accusa rivelatasi infondata.Al principio di “non responsabilità” che permea l’organo dell’Accusa (il quale, eccetto i casi di dolo o di colpa grave, non è tenuto a rispondere delle conseguenze del proprio operato) deve necessariamente corrispondere il pieno esonero economico dai costi affrontati dal cittadino ingiustamente processato.Occorre delineare un diritto pieno e di agevole riconoscimento, magari ricorrendo all’estensione alle spese di difesa del regime delle spese di giustizia ovvero a quello delle spese legali e processuali della parte civile, oppure ricorrendo a strumenti di compensazione fiscale in favore dell’imputato assolto.Uno Stato che, nell’esercizio della potestà punitiva, è in grado di riconoscere e riparare i danni che provoca, realizza un’aspirazione di giustizia e, ancor prima, di civiltà.

*Avvocato