Il plurilinguismo di Divina poesia - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

Il plurilinguismo di Divina poesia

Il plurilinguismo di Divina poesia

Iniziato sul palcoscenico del Teatro delle Arti il viaggio dell’Opera jazz dedicata a Dante Alighieri, firmata da Sandro Deidda e Alex Voglino.

di Olga Chieffi

ll viaggio di Dante nei regni ultraterreni è un’esperienza intellettuale, poetica, culturale e umana di portata eccezionale. La varietà degli aspetti e dei temi che Dante, nella sua ansia di comprendere l’universo, accoglie, descrive e racconta, lo porta alla completa rottura degli schemi letterari e retorici della tradizione. Il tema è praticamente infinito e, per trattarlo. occorrono tutti gli stili e le lingue. La varietà e la mescolanza degli stili nella Commedia è fondata su uno strumento linguistico che è tra i più flessibili che opera letteraria abbia mai presentato. La lingua di Dante diventa un campo sterminato dell’invenzione espressiva e la Commedia, dal punto di vista linguistico, appare una smentita ed un superamento delle teorie esposte nel De vulgari eloquentia: essa si presenta come un’opera fuori da tutti gli schemi. Divina poesia, l’opera jazz, attraverso cui tra mille traversie il conservatorio di Salerno “G.Martucci” ha inteso ritrovare l’abbraccio e il plauso del pubblico sul palcoscenico del Teatro delle Arti di Salerno, celebrando, nella sua unicità Dante, nel suo settecentenario dalla morte, ha alla base proprio queste ragioni estetiche. Coraggio da parte di maestri e allievi della nostra massima istituzione musicale ad andare comunque in scena superando ogni defezione e rivedendo l’opera, che non ha potuto nemmeno avvalersi del coautore Alex Voglino, per la recitazione dei testi, costringendo lo stesso Sandro Deidda, autore delle musiche ad indossare anche la berretta bianca, aderente alla testa con punte coprenti gli orecchi, cui è sovrapposto il famoso berretto rosso con fascia al sommo della fronte e il ricasco a cappuccio sul dorso, che ritroviamo in tutte le immagini di Dante. La musica di Sandro Deidda, il quale ha schierato una formazione non ortodossa, avventurandosi su di una strada non facile, è divenuta integrazione dialettica fra ritmi visivi e ritmi musicali, fra sequenze filmiche e frasi melodiche, fra immagini, suoni e versi, capaci di conferire alle diverse arti, una nuova dimensione espressiva, in una sorta di raddoppiamento dell’effetto drammaturgico, in cui dramma sta per “azione”, da drao, agire, e, allo stesso tempo, spettacolare, sia che sottolinei la tensione interna, magari attraverso un contrasto semantico, sia che dia al singolo personaggio o alla situazione, una propria figurazione musicale e ritmica, in sintonia e in sincronia con i caratteri visivi, in un intento di empatia dialettica fra i diversi materiali artistici. Così, si entra nella selva oscura su ritmi speziati di latin, il brano che ci fa incontrare Virgilio, evoca, invece, il segno musicale dei nostri grandi compositori di musica da film, il cantautorato italiano per Caronte, sino all’ “aria di sortita” del docente Carlo Lomanto sulle note di Minnie the Moocher, evocando la swing craze del Cotton Club, nell’ atmosfera hot dell’Inferno e innalzare the Song of the Viper, ovvero “Take me away from the river” di Fletcher Henderson, per l’incontro con Lucifero. Sulle parole di Tolkien ci si appressa all’erta del Purgatorio. Carmen Scognamiglio inizia l’ascesa sulle note di Lush Life, una pagina di un Billy Strayhorn appena diciottenne che gli aprì le porte dell’ orchestra di Duke Ellington, il cui solo è stato affidato al tenor-sax di Daniele Scannapieco. Poco prima nella torre della fame è stata la voce di Marina Del Grosso a interpretare i versi musicati del canto del Conte Ugolino. La spiaggia del Purgatorio con l’arrivo dell’angelo nocchiero sul vasello snelletto e leggiero ha il volto di Valeria Ciangottini nel finale de’ La Dolce vita, che sfocia nella performance attoriale di Sandro Deidda con Manfredi ed Ezra Pound, dando inizio ai sette peccati capitali per musica e immagini, con l’Amadeus di Milos Forman e il suo Antonio Salieri, Il grande Dittatore di Charlie Chaplin, su musiche in stile galante e ancora Gesù, per poi dar spazio alle icone medievali, l’ “epoca organica”, con la mano guidoniana che segna l’inizio della scrittura musicale moderna. Nel paradiso terrestre si canta e balla Cheek to Cheek, con Carlo Lomanto e Carmen Scognamiglio, insieme a Fred Astaire e Ginger Rogers, prima di ascendere al Paradiso su progressioni del sax soprano di Sandro Deidda e la tromba in sordina di Giancarlo Ciminelli, per poi lanciare un grande bridge tra l’Inno alla gioia di Ludwig van Beethoven e When the Saints go Marching In, con Deidda che si lancia sulle tracce di Johnny Doods. Nel cielo del Sole ci si affida ai flauti e al bel solo del vibrafono di Pierpaolo Bisogno, quale intro di un originale Regina Coeli. Nell’Empireo non si poteva non giungere che sulle note reiterate della prima parte della suite di John Coltrane “A Love supreme”, Acknowledgement ovvero “accettazione”, “ammissione” ma anche “presa di coscienza”, di un viaggio iniziatico, introdotto dal “duel” di tradizione tra tenor-sax Deidda-Scannapieco, compiuto, indi, da tutti, per aspera “sic itur ad astra” per dirla col Virgilio dell’Eneide. Presentazione di tutti i musicisti con Deidda, maestro di cerimonia, a partire dallo “straniero” Giancarlo Ciminelli tromba, Daniele Scannapieco sax tenore e flauto, Raffaele Carotenuto, trombone, Carlo Fimiani, acustica, Giuseppe Ruocco Chitarra elettrica, Guglielmo Guglielmi pianoforte, Tommaso Scannapieco contrabbasso, Pierpaolo Bisogno, vibrafono e percussioni, Gerardo Palumbo percussioni, Giuseppe La Pusata, batteria e le voci preparate da Carlo Lomanto, con Gennaro Vitale, interprete di Donna Beatrice, Antonio Valentino e Simone Capriglione, direttamente dal musical “Scugnizzi” e Natalino Cioffi, che si sono unite alle voci di Marina Del Grosso e Carmen Scognamiglio. Ancora love per tutti e i saluti finali con l’elezione scherzosa di Franco Massimo Lanocita a Presidente forever (alla papa Ratzinger) estensibile, a nostro parere, a Fulvio Maffia, art director del Martucci di Salerno. Si replicherà possibilmente in tour e con organico al gran completo.