“La musica è energia nel tempo”. Conversazioni con Gianvincenzo Cresta - Le Cronache
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“La musica è energia nel tempo”. Conversazioni con Gianvincenzo Cresta

“La musica è energia nel tempo”. Conversazioni con Gianvincenzo Cresta

Domani sera, nell’ambito della XIII edizione di PianoSolo nella Chiesa di San Benedetto, sarà eseguito in prima assoluta “All’ombra del tenebrinto

 

Di Sara Cianciullo

Incontro Gianvincenzo Cresta durante una sessione di prove con i musicisti; sta curando con loro la concertazione della sua opera, “All’ombra del terebinto”, la cui prima esecuzione assoluta è in programma per sabato prossimo, 13 novembre, nel cuore della rassegna dedicata al pianoforte in formazione cameristica, PianoSolo…in Ensemble presso la chiesa di San Benedetto in Salerno. L’esecuzione sarà affidata alle mani sapienti di Paolo Francese al pianoforte, direttore artistico della rassegna, Francesco D’Arcangelo al violoncello, Ilario Ruopolo al violino e Mattia Cuccillato alla viola. Cresta è uno dei compositori più attivi ed affermati del nostro tempo, basti pensare che la sua musica è trasmessa da VRT belga, Rai Radio Tre e Rai Tre, TVE2, Radio France e viene regolarmente seguita nei festival internazionali più importanti. Vanta inoltre esperienze con istituzioni del calibro del Mozarteum di Salisburgo, Ircam, Opera Bastille e Biennale di Venezia. È musicista generoso, non si cela dietro il mistero della sua scrittura, si pone in ascolto ed in sinergia con gli interpreti della sua musica, sa cosa chiedere agli strumentisti ed indicare loro la via per la realizzazione della sua idea. «Il suono ha sempre bisogno di essere “capito”, non basta decodificare il segno, è necessario interpretarlo. Ogni strumento ha le sue peculiarità, le sue caratteristiche timbriche e le sue esigenze sul piano tecnico; per questo cerco di lavorare in sintonia con quello che lo strumento richiede nel dare i miei suggerimenti al musicista: una stessa figurazione o cellula ritmica, ad esempio, ha bisogno di una differente indicazione tecnica perché la sua dizione rispecchi la mia idea, a seconda che sia affidata al pianoforte o che sia realizzata da un arco.» Mi spiega che questa composizione nasce nel difficile periodo della pandemia: nel momento di più grande ed esasperata introspezione ed isolamento nasce l’esigenza di confrontarsi nuovamente con la scrittura per il gruppo da camera, una esigenza che si concretizza in un ciclo di tre composizioni per pianoforte ed archi: Persa lontano e tuttavia distinta, Notte non ti conosco ed il nostro All’ombra del terebinto.

Il musicista a cui affidi le pagine della tua musica è sempre chiamato a non fermarsi alla mera notazione, alla “grammatica” del pezzo, deve comprendere, penetrare quel segno e comprenderne le possibilità espressive, entrare nel mondo sonoro di chi ha composto quelle pagine. In che rapporto ti poni con il risultato finale, il prodotto della interpretazione della tua musica, ed in che rapporto ti poni con l’interprete stesso? Qual è lo spazio dell’interprete?

«Comprendi bene, il segno è sempre punto di partenza nella mia musica, ma è anche ciò che deve condurre aldilà di esso. Vedi, nella mia scrittura ogni indicazione è sempre precisa ed esplicita, il segno ha sempre una sua precisa identità, ma non per questo sarebbe giusto aspettarsi che l’interprete riproduca esattamente il mio mondo sonoro: non escludo mai che ci sia un punto di vista alternativo al mio, l’interprete può sempre aprirti a nuove strade, purché questo sia fatto in sintonia con ciò che la partitura dice, sempre a partire dal segno. Per questo mi pongo sempre in rapporto dialettico con l’interprete della mia musica.»

“All’ombra del Terebinto” un titolo suggestivo ed ermetico che rimanda certamente a significati ulteriori e più profondi. Leggo che il Terebinto è una pianta millenaria dalle incredibili proprietà curative, originaria dell’isola di Chio e presente in tutto il Mediterraneo ed in Palestina. Oltre questo ha una grande simbologia biblica: nel libro dei Giudici è l’albero all’ombra del quale l’angelo del Signore si manifesta a Gedeone, in Siracide 24, 16 è il simbolo della Sapienza di Dio. Sono davvero di origine biblica i motivi ispiratori di questa opera?

«Si, è proprio così. E aggiungo che nel Siracide il terebinto è il simbolo della bellezza oltre che della sapienza. Mi capita spesso di partire da immagini bibliche, da storie e da simboli contenuti nelle Scritture; nella mia vita la ricerca del senso dell’esistenza è fondamentale e trovo nelle Scritture la risposta più profonda e, allo stesso tempo, più misteriosa. Per me la scrittura è risonanza e re-azione ai pensieri, alle emozioni e, direi, ai fatti che travolgono la mia vita.»

In che modo hai utilizzato il linguaggio musicale per trasfigurare la tua riflessione su queste immagini? «Il mio processo creativo consiste nel comporre l’immagine e anche in questo brano è così. Il terebinto si connota per essere particolarmente frondoso e quindi capace di generare un’ombra assai estesa. Proprio per questa caratteristica era l’albero del riposo non solo fisico, ma anche spirituale e soprattutto era un luogo di elezione e di rivelazione. Nella definizione della forma e dei processi ho ragionato su due fronti. Il primo riguarda le proprietà estetiche del terebinto, così ricco di rami e quindi dalla struttura complessa e il secondo è l’ombra che esso genera e che è in rapporto con la direzione della luce. Le diverse fasi formali di questo brano partono da alcuni elementi comuni, ma poi ogni fase prende una sua strada esattamente come accade per ogni singolo ramo. Invece l’ombra è intesa come proiezione mutevole della realtà. Una musica che, in una apparente ripetizione, si rinnova.»

Mi sembra di comprendere che, nella partitura, questa mutevolezza si materializzi anche attraverso un concitato dialogo tra le parti, le figurazioni ritmiche in quintine, sestine e settimine, ed è restituita da relazioni sonore che creano un effetto di continua fluidità. In che rapporto si pongono tra loro le varie componenti dell’ensemble? E che ruolo ha il pianoforte?

«Quello del pianoforte è un ruolo portante, un ruolo principale, propositivo: realizza le situazioni di straniamento, le atmosfere sospese, e poi “accende” tutti i processi interni al pezzo; a lui è affidato il ruolo di condurre l’insieme nelle diverse fasi energetiche del pezzo. Ciò che è importante per l’ensemble è lavorare insieme per rendere sempre chiara la direzione del brano: la musica è energia nel tempo, per questo ciò che è importante è avere sempre chiara la vettorialitàdi una composizione, le sue energie interne – ciò vale per ogni tipo di composizione, che sia essa “storica” o “contemporanea” -, ovvero quei processi che segnano il suo sviluppo con l’alternarsi di fasi energetiche differenti, quelle che tecnicamente definiamo energia statica, centrifuga o centripeta.»

Qual è secondo te il posto della musica d’oggi nel nostro presente? Non possiamo negare che permanga ancora una certa “diffidenza”, da parte sia del pubblico che dei musicisti stessi, verso la musica contemporanea.

«C’è un errore comune che, a mio parere, riguarda alcuni interpreti: la musica contemporanea è pensata come qualcosa di “difficile”, incomprensibile. Quando se ne parla si compie ancora l’errore di riferirsi soltanto a Boulez e Stockhausen ed è perciò etichettata a volte come “incomprensibile” e di difficile esecuzione (ma anche questo è soltanto un luogo comune); in realtà la musica che alcuni definiscono “contemporanea” è già, invece, musica storica. Il linguaggio di oggi ha preso già da tempo una strada molto diversa. A mio parere il rapporto tra la nuova musica ed il pubblico potrebbe cambiare e migliorare se questa fosse eseguita insieme alla musica storica, inserita normalmente nei programmi dei concerti, non relegata in un ambito a parte e stigmatizzata.»

Sei anche un didatta, nelle aule del conservatorio “Cimarosa” di Avellino ti dedichi con generosità ai giovani allievi che vogliono intraprendere la strada della composizione, ed anche agli strumentisti che con te affrontano un nuovo modo di condurre l’analisi della partitura. Quale credi sia la caratteristica essenziale ed imprescindibile per il compositore di oggi? «Io credo che siano fondamentali per un compositore la riscoperta della propria identità, il percorso e la ricerca del sé; ciò che è necessario per il vero creativo è trovare sé stesso e la sua idea nella musica. Anche se il percorso di formazione deve essere corredato da studio e continuo approfondimento delle tecniche compositive, non dovrebbe sottostare a regole o a canoni stilistici imposti dall’esterno, come accade per alcune scuole in Europa, né dovrebbe farsi influenzare dalle tendenze e dai gusti del momento. La partitura, la pagina di musica deve essere la manifestazione chiara della tua idea e di null’altro, unico obiettivo per il creativo è “essere ciò che si scrive”.