Carnevale si chiama Michele - Le Cronache
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Carnevale si chiama Michele

Carnevale si chiama Michele

di Olga Chieffi

Evochiamo il titolo di un volume storico sul carnevale campano che è “Carnevale si chiamava Vincenzo” nato da una eccezionale ricerca condotta dall’antropologa Annabella Rossi e dall’etnomusicologo Roberto De Simone, con la collaborazione di Marialba Russo, Paolo Apolito, Enzo Bassano, Gilberto Marzano e il gruppo di ricerche antropologiche dell’Università di Salerno, per introdurre la serata che ha salutato protagonista Michele Schiavino, il quale ha presentato al pubblico salernitano la sua ultima opera, “Zeze, chiacchiere e Pampanelle. Viaggio nel Carnevale magico di Michele Schiavino”. Il film non si ferma alla “mitologia” del Carnevale con le sue declinazioni colte e popolari, con la sua musica e i suoi riti, ma rivela quel rapporto, magico appunto, che il cinema intreccia con la realtà e con il tempo: qualunque istante catturato dalla macchina da presa ha diritto a diventare parte del racconto e il tempo stesso può riavvolgersi come una vecchia pellicola e tornare a un istante prima che il film stesso abbia inizio. Pulcinella, Pulcinellino, il regista/Pazzariello, i Musicanti e la Morte, agiscono sulla scena “intorno” alla proiezione di diversi video sul carnevale popolare, tra Mercogliano e Montemarano, realizzati nel corso degli anni da Michele Schiavino, con rimandi e suggestioni da altri film. Il linguaggio è quello del double entendre, espressioni dello spirito pagano del carnevale, per il quale, allo stesso modo in cui il seme che sta “al di sotto” deve venire fuori, “al di sopra”, alla luce, tutto ciò che è inferiore diventa temporaneamente superiore, ovvero, il momento della sovversione rituale, della degradazione temporanea dei “potentes”, della prescritta esplosione degli istinti. In scena tra Zeze, chiacchiere e pampanelle Attilio Bonadies, Elio Califano, Giancarlo Capacchione, Emilio Leone, Claudio Rubino, Michele Schiavino, Gerardo Trezza, con testi dello stesso Bonadies, Rubino e Maria Teresa Schiavino. In sala martedì sera, l’ urklang d’amore e protesta di Paolo Apolito, dell’assassinio efferato compiuto proprio all’Università di Salerno, con l’alienazione del suo sterminato archivio di ricerche, canti, registrazioni, trascrizioni, fatti sul campo, anni di lavoro e di tempo perduti per sempre. Un tempo, quello, che si è consumato in una crociera senza più approdi, senza mete, senza terre da toccare. Esiste più il futuro con un sistema inceneritore delle parole quotidiane, di piccoli gesti del comunicare, di silenzi assorti nel ricordare, di ascolti e di comunicazione fatti di sguardi? Una volta era il passato a guidare il presente, la memoria era la lingua viva dei morti. “ Attenzione – ha intimato Paolo Apolito – la tradizione, si è quasi del tutto spenta e la Campania ha perso un bene inestimabile, un’anima culturale da considerarsi patrimonio dell’umanità; un’anima che viveva in accordo con la natura e ne seguiva il ciclo attraverso le Feste”. Alberto Castellano ha scomodato i grandi del cinema francese, della Nouvelle Vague, per ribadire che Schiavino gira da cineasta e non da regista, Antonella Mancusi, autrice del volume “Presenza, essere dinanzi al mondo, essere dinanzi al vuoto” per Mimesis, che conclude se la crisi oggi si fa parte costitutiva della presenza, e costituente del mondo, sarà possibile intravedere l’altra possibilità di “essere dinanzi al mondo”, la risposta è di Pier Paolo Pasolini, evocata dalla moderatrice della serata Erminia Pellecchia “Essere morti o essere vivi è la stessa cosa”, che è il titolo del cortometraggio di animazione, del pittore Gianluigi Toccafondo dedicato a Pier Paolo Pasolini a 25 anni dalla morte, partendo dalla frase finale del film “La terra vista dalla luna”. Assenze e presenze nel film di Michele Schiavino, su tutte la voce di Gelsomino D’Ambrosio e il sorriso di Paola D’Amore, un cerchio che si chiude, poiché il leitmotiv del film è la Campagnese, ove si canta che Campagna non si chiama più Campagna ma “Il paese dell’Ammore”. Nichilismo è, dunque, il processo storico nel corso del quale i supremi valori tradizionali – Dio, la verità, il bene – perdono il valore e periscono e la trascendenza pare persa. Invece, le immagini di questo film sono nate da una ricerca di trascendenza, sono state realizzate fatte per essere tramandate, per allargare di riti da persone che hanno vissuto pienamente, “pathito” l’istante, per dirla con un termine chiave della filosofia di Aldo Masullo, mettendo in gioco il loro “sguardo”, umanizzando queste occasionali emozioni, condividendole con con noi. Non v’è infatti “fenomeno”, ovvero “vissuto”, emozionale e non, che non sia tale perché è sentito come “mio”, proprio di un sé. Movendo le emozioni e ritrovandosi in esse, l’erosione del tempo scomparirà, i rapporti saranno nuovamente possibili, grazie alla differenza e al dialogo, che si risolverà in discorsi, racconti d’Amore, come quello a cui abbiamo partecipato nella grande Festa all’Arena del Mare con gli allievi strumentisti del Liceo Musicale “Teresa Confalonieri” di Campagna, guidato da Giampiero Cerone, emanazione della Musica e dello stesso Michele-Orfeo, garantendo, così, il riverbero eterno del mito, tra il Samba de Orfeu e funambolico Galop Infernal Orphée aux Enfers di Jacques Offenbach. Martedì sera, il sigillo lo ha messo sempre la musica, con la presenza del clarinettista e docente Luciano Marchetta, unitamente ai fratelli Pierro, con Salvatore all’organetto e Francesco alla fisarmonica, interpreti della Campagnese, cui è andato l’ultimo applauso della sala, tra il ricordo di Alfonso Andria del suo eccezionale nonno materno Alfonso Pinto, legato proprio al magistrale di Campagna e le presenze silenziose di Antonia Willburger ed Ermanno Guerra, a ribadire che per partecipare a una festa bisogna essere coro e non protagonisti.