Scafati. Il Gip respinge gli arresti: "è però corruzione elettorale". IL DOSSIER COMPLETO - Le Cronache
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Scafati. Il Gip respinge gli arresti: “è però corruzione elettorale”. IL DOSSIER COMPLETO

Scafati. Il Gip respinge gli arresti: “è però corruzione elettorale”. IL DOSSIER COMPLETO

Per vincere gli appalti oppure semplicemente avere degli affidamenti diretti dal Comune, basta trovare il sistema giusto: Loreto nel verbale dell’11 marzo disse di aver iniziato a maturare l’interesse per gli appalti pubblici proprio a seguito dell’instaurazione dei suoi rapporti con la famiglia Aliberti. Era stato il sindaco Pasquale Aliberti a fargli venire la voglia di fare affari con la politica. Il gip del Tribunale di Salerno, Donatella Mancini lo scorso 28 giugno ha deciso di rigettare le misure cautelari per il sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti e Maurizio Nello Aliberti, suo fratello, oltre a Gennaro e Luigi Ridosso. Ma, nella documentazione si legge senza ombra di dubbio che nelle elezioni del 2013, ci fu un patto tra clan e politica per favorire l’elezione di Pasquale Aliberti. La “moneta” di cambio erano gli appalti nelle partecipate e nell’ente pubblico, oppure posti di lavoro per le persone indicate dal sodalizio criminale Ridosso-Loreto. Ma come si fa a vincere una gara d’appalto in un comune attenzionato come quello di Scafati? L’11 marzo del 2016 Loreto Jr, figlio del pentito Pasquale, ex boss della Nuova famiglia, lo racconta ai pm Russo e Cardea, oltre che allo stesso Montemurro. Seguendo le direttive provenienti dallo stesso sindaco, Loreto Jr spiega che  Pasquale Aliberti aveva consigliato loro di creare una o più società composte da persone incensurate. Ditte che avessero però una sede fuori Scafati alla quale avrebbe affidato i lavori di pulizia e manutenzione dei capannoni dell’area ex Copmes di Scafati. Così nacque la Italy Service di Castellammare di Stabia e intestata ad una testa di legno, Mario Sabatino. Il cda presieduto da Ciro Petrucci, vista la scadenza naturale del contratto di appalto con la precedente affidataria del servizio (la Maxiclean) stabilì di affidare la pulizia Acse alla Italy Service. Ma, di fatto fu la Maxiclean a continuare la gestione in proroga (poi attraverso la società Gima) infatti la Italy service, seppur sollecitata, non produceva quanto necessario ad iniziare i lavori. E nemmeno l’Ex Copmes risolse la vicenda: lì però l’appalto non fu concesso perchè i Ridosso e Loreto furono arrestati prima dell’ok. Insomma, per il Gip il patto con la camorra c’è, l’arresto per adesso no: gli Aliberti restano liberi ma sono politicamente compromessi, sul Comune di Scafati dal 2008 e nel 2013 padroneggiava la camorra. Per il pm Montemurro, Gennaro e Luigi Ridosso erano i capi del clan Ridosso Loreto – insieme al pentito Alfonso Loreto, il sindaco Pasquale Aliberti, con l’intermediazione di suo fratello Nello, avevano stipulato un “patto di scambio politico elettorale mafioso con cui il clan gli procacciava i voti in favore della coalizione politico amministrativa facente capo al sindaco, il quale a sua volta prometteva e si impegnava – a fronte dello svolgimento della campagna elettorale del 2013 e – secondo l’accusa – anche per le elezioni regionali del 2015 (per la candidatura della moglie Monica Paolino) la concessione di appalti pubblici in favore di società controllate dal clan. Già nel 2008 il sindaco infatti – per l’Antimafia – intratteneva rapporti con i Campagnuoli, i fratelli Sorrentino. Già all’epoca attraverso il comune di Scafati si consentiva l’attribuzione di appalti e servizi a società collegate al clan in cambio dell’appoggio elettorale. Un’accusa che potrebbe già costare lo scioglimento del comune di Scafati per infiltrazioni camorristiche.

Gennaro Avagnano

ANDREA RIDOSSO ASSUNTO AL PDZ

Aliberti non mantiene tutte le promesse fatte al clan però “grazie all’interessamento del sindaco intanto – secondo Loreto Jr – Andrea Ridosso fu assunto dal Piano di zona di Nocera Inferiore”, si legge nel dispositivo del Gip Mancini. A casa di Aliberti, a conferma di ciò, nell’armadio, era stato trovato un curriculum di Andrea Ridosso, lo scorso 18 settembre. Inoltre i tabulati telefonici documentano numerose chiamate tra Aliberti Jr, Luigi e Gennaro Ridosso (oltre che con Roberto Barchiesi), nonché tra il sindaco e Andrea Ridosso. Tutto era iniziato molto prima, nel periodo pre-voto del 2013. Loreto propose la candidatura di Andrea Ridosso, figlio del pregiudicato Salvatore, un giovane lontano dal malaffare. “Un ragazzo pulito”. Così nel corso di un incontro che si sarebbe tenuto – secondo il racconto di Loreto Jr – a casa del sindaco ( a cui parteciparono Andrea Ridosso e Raffaele Lupo, ex consigliere comunale e provinciale, interessato a costruire una lista in sostegno al primo cittadino – “Grande Scafati”). Aliberti gli suggerì di scegliere un candidato dal cognome meno pesante di quello di Andrea Ridosso per “evitare un attacco frontale che gli sarebbe venuto dalla stampa e dalle forze politiche contrapposte”. Così il sindaco promise che in caso di elezione del loro candidato, gli avrebbe garantito un grosso appalto. Fu allora che gli proposero di candidate Roberto Cenatiempo (che gestiva gli appalti del clan) ma scelsero alla fine Roberto Barchiesi, parente dell’ex moglie di Loreto Jr. Barchiesi fece il primo della lista con i suoi 300 voti, procurati dal clan e da Lupo e Luigi Ridosso.

Gennaro Avagnano

GLI INTERMEDIARI

Nonostante gli “accordi” pre-elettorali, Aliberti secondo Loreto Jr non gli aveva garantito il “grosso appalto” che avrebbe fatto fare al clan il “salto di qualità” rispetto ai Sorrentino (Campagnuoli). Fu a questo punto che Luigi Ridosso si rivolse a Nello Longobardi, noto imprenditore della zona che vantava una particolare influenza sul sindaco: infatti riuscì ad ottenere la nomina di Ciro Petrucci, suo caro amico, alla carica di vicepresidente dell’Acse.  Stesso scenario anche con Nello Aliberti e Giovanni Cozzolino (staffista del sindaco non indagato in questo procedimento): anche loro erano intermediari.

IL SISTEMA DELLA MEDIAZIONE

L’importanza di chiamarsi Aliberti e di poter “mediare” con le ditte dove svolgeva l’attività di medicina sul lavoro per far ottenere appalti alle società del clan Ridosso-Loreto: questo, condito da minacce di morte che il fratello minore del sindaco Pasquale Aliberti aveva avuto dal clan, fu determinante per la scelta di non denunciare ed anzi, di collaborare. Inizialmente infatti a Nello Maurizio Aliberti, fratello piccolo del sindaco, fu chiesta dai Ridosso-Loreto una mano per ottenere l’appalto delle pulizie nella ditta L’Igiene Urbana srl . Aliberti Jr però si tirò indietro. Quelle ditte “non avevano i requisiti” e non accettò di aiutare gli uomini del clan fino a che non ricevette delle minacce di morte che gli fecero cambiare comprensibilmente idea e fecero scattare il piano B: la mediazione del solito Nello Longobardi che riappacificò Nello Aliberti con i Ridosso-Loreto. La tregua fu siglata nella fabbrica di Longobardi a Rione Ferrovia a Scafati – ex quartier generale dei Loreto – davanti all’immancabile staffista del sindaco Giovanni Cozzolino (non indagato in questo procedimento). Insomma, la pace fu fatta ben presto e tra gli Aliberti e i Ridosso-Loreto tornò il sereno, almeno per un po’.

NELLO ALIBERTI, DA MINACCIATO A PROCACCIATORE DI AFFARI

Da uomo minacciato, ben presto Nello Aliberti presentò il suo ramoscello d’ulivo a Luigi Ridosso e Alfonso Loreto: in segno di pace, davanti al paciere Longobardi e al testimone Cozzolino, propose agli uomini del clan di intercedere presso le industrie conserviere della zona. Una sorta di procacciatore d’affari. Gli propose un altro patto: di intercedere presso le industrie conserviere della zona – in particolare la Giaguaro (Sarno) e la Condea (S. Egidio del Monte Albino) – dove lui svolgeva le mansioni di medico del lavoro (senza essere medico?), per far si che concedessero a Luigi, Gennaro Ridosso oltre a Alfonso Loreto – o meglio alle loro ditte – appalti per i lavori di pulizie, con guadagni che avrebbero superato la ragguardevole cifra di 100mila euro. Ma, secondo la ricostruzione fornita da Loreto Jr e dall’Antimafia,  neppure tale offerta incontrò il favore del clan più che altro per una sorta di “questione di principio”, essendo essi interessati a che fossero rispettati i patti elettorali, che prevedevano la concessione di appalti pubblici. I Ridosso-Loreto avevano oramai assaggiato il nettare del denaro pubblico e capito le potenzialità: del resto anche papà Loreto (Pasquale Loreto ndr), aveva consigliato ad “Alfonsino” di immischiarsi con la politica per rendere il loro, il clan più forte.

LE MANI DEL CLAN SULLE NOMINE, ALIBERTI DIVISO FRA GLI EQUILIBRI

La consigliera Carmela Berritto, una dei surrogati che erano entrati in consiglio comunale nel 2013 dalle liste di Pasquale Aliberti, fu il motivo per cui il sindaco non accettò di nominare come vice presidente dell’Acse, Alfredo Berritto, l’avvocato che il clan aveva indicato come il suo “uomo” all’interno della partecipata comunale che gestisce i servizi cimiteriali, dei rifiuti e del verde pubblico. Lei, quasi eletta – entrata a seguito della scelta degli assessori di Forza Italia e civiche – cugina del legale Berritto, si era scagliata contro quella nomina per la forte antipatia tra i due. La consigliera, già finita nel mirino qualche anno fa quando il fratello era stato assunto – tramite bando – all’Aipa (società che gestiva i parcheggi) e poi passato alla Publiparking, aveva promesso battaglia su quel nome. Quindi Aliberti era stato costretto perciò a dire “no” al clan su quella nomina che lascia molti dubbi e che poteva mettere a rischio la risicata maggioranza del sindaco. Ecco quindi che era entrato in ballo, suo malgrado, Nello Longobardi (zio dell’attuale assessore di Aliberti, Diego Chirico). Longobardi ha ammesso infatti di aver mediato tra Aliberti e Ridosso per la nomina della “seconda scelta” del clan alla vicepresidenza dell’Acse: Ciro Petrucci. Sul caso sono stati interrogati anche altri teste che hanno confermato il ruolo chiave del clan nella scelta dei “posti di potere” nelle partecipate o nei “giochi” politici scafatesi. In particolare, i tre interrogati, ovvero la collaboratrice di giustizia Antonella Mosca (ex compagna di Ridosso), Nello Longobardi e Raffaele Lupo avevano confermato degli episodi. Longobardi stesso aveva fatto da mediatore per l’appalto nella ditta dei rifiuti a Scafati per la società di Loreto-Ridosso che Nello Aliberti non era riuscito a procurargli. Una cosa che aveva creato non pochi problemi ad Aliberti Jr. Lupo invece, dal canto suo, ha confermato la composizione della lista con la nomina di Barchiesi invece che di Andrea Ridosso. Anche l’ex compagna di Romolo Ridosso ha confermato gli accordi elettorali tra il clan e Aliberti con cui il sindaco si era impegnato ad elargire ai Ridosso l’aggiudicazione di appalti pubblici, soprattutto nel settore di loro interesse, quello della gestione degli ausiliari del traffico. Sul 2015, però Mosca non è a conoscenza dei fatti ma ha riferito all’Antimafia di aver sentito parlare della Paolino come della loro “candidata”. Per il Gip però è “del tutto indimostrato che tale patto fosse stato replicato anche in occasione delle elezioni regionali del 2015 che videro eletta alla carica di consigliere regionale la moglie di Aliberti, Monica Paolino (non indagata in questo procedimento)”. Inoltre, pure Loreto non avrebbe detto molto sulle elezioni della Paolino: il pentito avrebbe parlato solo dell’organizzazione di comitati elettorali in favore della donna arrivando a sostenere di aver fatto anche propaganda alla fazione avversa, ovvero organizzando un comizio al candidato Pasquale Coppola dopo l’incontro con lui e il consigliere Pasquale Vitiello, sembra smentire l’ipotesi di accusa. “Se gli accordi fossero stati fatti, li avrebbero riferiti all’Ag quando hanno scelto di collaborare” dice la Mancini. “Senza dire che l’ipotesi accusatoria trova una ulteriore smentita in considerazioni di natura logica se infatti, come sembra chiaro, il clan scafatese non aveva conseguito gli appalti promessi dal sindaco Aliberti nel 2013, è difficile ipotizzare che avesse raggiunto un analogo accordo con lo stesso sindaco nel 2015”.

PESCE: “HO VINTO IO LE ELEZIONI NEL 2013

“Ho vinto io le elezioni comunali del 2013” una dichiarazione un po’ provocatoria e tipica del suo temperamento, quella rilasciata da Nicola Pesce, consigliere comunale di opposizione ed ex sindaco di Scafati per due consiliature, già due settimane fa. Oggi quelle parole assumono ancora più senso se si pensa che il patto politica e camorra per la vittoria di Pasquale Aliberti alle comunali del 2013, è “indubbio” secondo il Gip del Tribunale di Salerno Donatella Mancini. Eppure, nonostante il clan, Aliberti non vinse al primo turno ma al ballottaggio. “E’ evidente che in una partita di pugilato chi ha il ferro di cavallo nascosto nel guantone può vincere più facilmente, ma io sono garantista e penso che la magistratura debba fare il suo corso senza intromissioni politiche” commentava l’ex sindaco. Eppure quando gli è stato chiesto se si sentiva parte lesa, Pesce ha commentato: “L’unica parte lesa sarebbe la città di Scafati ed i suoi cittadini che saranno costretti, qualora ci fosse davvero uno scioglimento per camorra, a pagare i danni fatti da questa amministrazione” spiegava Nicola Pesce. L’ex sindaco aveva anche raccontato le elezioni 2013: “C’erano state delle anomalie che furono opportunamente denunciate, i toni comunque di quella campagna elettorale erano stati molto accesi ed anche nello stesso comitato elettorale nel centro cittadino c’erano persone che attualmente sono finite sotto inchiesta. Ma al di là di questi episodi indiziari noi abbiamo sempre trattato il lato politico della vicenda lasciando alla magistratura il compito di indagare su eventuali altre responsabilità. Io posso solo dire che il candidato Pasquale Aliberti nel 2013 ha fatto di tutto per vincere ed è addirittura arrivato ad accusare il mio figlio di aver commesso un abuso edilizio quando di fatto, relativamente a quella struttura è stato poi accertato dagli stessi uffici comunali che non poteva essere stato mio figlio ad aver commesso quella abuso edilizio perché aveva solo 4 anni. C’era un clima davvero molto teso”.  (Valeria Cozzolino)

LE RISPOSTE DI ALIBERTI SU LORETO, RIDOSSO E LUPO

A salvare i fratelli Aliberti dalla misura coercitiva degli arresti è la non esistenza di tale reato nel momento in cui è stato consumato. Questo è quanto osserva il Gip Mancini. Questo perché nel 2013, epoca delle elezioni comunali, la legge sul voto di scambio richiedeva anche il passaggio di denaro tra le parti, cioè, doveva consumarsi. Solo nel 2014 il legislatore ha voluto configurare il reato anche con la sola promessa di favori. Da qui la derubricazione del reato a “corruzione elettorale”, che sanziona con la reclusione fino a 4 anni il candidato che per ottenere il voto offre, promette, o somministri denaro, valori o qualsiasi altra utilità. E per tale reato non è prevista la custodia in carcere, anche perché, non essendoci elezioni nella prospettiva breve, non c’è rischio di recidiva. Secondo la Procura Antimafia guidata dal Pm Montemurro, Pasquale Aliberti nel 2013 incontrò a casa sua Raffaele Lupo e Andrea Ridosso. In questa sede il primo cittadino accettò il sostegno elettorale dei suoi interlocutori, suggerendo però di trovare un altro candidato di riferimento, che non fosse il Ridosso. In cambio la promessa di un grosso appalto. Fu così che il clan optò per Roberto Barchiesi, poi eletto (si legge ancora nell’ordinanza) grazie ai voti di Raffaele Lupo e dei Ridosso. Quanto emerge non corrisponde con quanto Pasquale Aliberti ha dichiarato a Cronache il 14 luglio scorso, e che riproponiamo. “Tutte le liste sono state composte e da me elaborate. Per “Grande Scafati” ho un ricordo particolare: il simbolo è stato disegnato con i colori a pastello davanti al mare nell’estate del 2012 da mia figlia Rosaria. L’avv. Maranca; Espedito De Marino; Angelo Romano; Francesco Abenante; Arturo Desiderio; Ilaria Iovino; Angelo Porpora; Christian Ruotolo; Stefano Sensale; Annunziata Strasso; Giuseppe Tono; Roberto Barchiesi e Maria Gallo, mi avevano espresso già mesi prima la volontà di candidarsi – spiegava il primo cittadino – Loreto non l’ho mai visto e sentito in vita mia e con Ridosso, che ho scoperto solo qualche anno dopo appartenente ad un clan, avrò scambiato il saluto in luoghi pubblici forse non più di tre volte a mia memoria”. E su Raffaele Lupo: “Mai abbiamo fatto un percorso politico comune. Alle provinciali del 2009 lo contrastai anche con durezza politica per sostenere l’allora vice sindaco Salvati. Alle comunali con Santocchio Sindaco me lo ritrovai in lista con l’ex consigliere D’Alessandro sotto la regia degli Scarlato; e alle ultime regionali mi dicono fosse a sostegno del Presidente del Consiglio Coppola”.

Adriano Falanga

COPPOLA: PRONTO A CHIARIRE

Scelse di candidarsi in lista Ncd Pasquale Coppola, alle regionali del 2015, lista che già aveva sostenuto alle europee, assieme all’amico e consigliere comunale Pasquale Vitiello, che nello stesso partito centrista fu candidato alle provinciali. Il presidente del consiglio comunale com’è noto, è cugino del senatore NCD Pietro Langella. Alfonso Loreto sostiene di averlo aiutato nel 2015, quando Coppola e Vitiello entrarono in collisione e rivalità con Pasquale Aliberti, che sosteneva la ricandidatura della moglie Monica Paolino. A Coppola andarono 1850 dei 2061 voti raccolti dall’Ncd a Scafati. Loreto lo avrebbe supportato organizzando una riunione elettorale nei pressi del suo domicilio a Mariconda. “I comizi fanno parte delle campagne elettorali, e ricordo di averne tenuto uno anche nelle palazzine nel 2015, organizzato dai miei sostenitori – spiega il presidente del Consiglio comunale, già destinatario anche di un proiettile il 13 dicembre scorso –mai chiesto appoggio a personaggi poco raccomandabili. Resto sereno e sicuro del mio operato, pronto a chiarire questa spiacevole vicenda”.

Adriano Falanga

SALVATI: NEL 2013 SCONFITTA DIGNITOSA

“Resto soddisfatto del mio risultato elettorale del 2013 con una sconfitta dignitosa, di fronte ad una vittoria inquinata dal malaffare e dalla camorra”. Cristoforo Salvati fu candidato per Fratelli D’Italia, dopo la rottura avvenuta pochi mesi prima, quando lasciò la maggioranza dimettendosi dalla carica di vicesindaco. “Alla luce della richiesta di arresto del sindaco non convalidati dal GIP Daniela Mancini che ha però confermato il patto corruttivo con la camorra, chiediamo un’accelerata alla commissione d’accesso in quanti manca da tempo l’agibilità politica – aggiunge Salvati – Ai garantisti della poltrona chiediamo un sussulto di orgoglio finale insieme al loro capo con le dimissioni di massa per scongiurare dopo venti anni il secondo disonore alla nostra amata città”.

Adriano Falanga

D’ALESSANDRO: ORA INTERVENGA IL PREFETTO

“Alla luce dei fatti che emergono quello fu e resta un risultato straordinario frutto dell’entusiasmo di un gruppo di compagni ed amici a cui va, ancora oggi, il mio personale ringraziamento”. Così Vittorio D’Alessandro, candidato per il Pd – Con il tempo ci siamo accorti che quello che gridavamo dai palchi era una minima parte della realtà ed ora spero che si ponga fine, al più presto, a questo calvario per il bene della nostra Scafati. Intervenga subito il Prefetto senza ulteriori indugi”. Fa eco il partito: “uno scenario politico inquietante, all’interno del quale si muovevano e si muovono tuttora con arroganza e protervia, soggetti ed amministratori capaci di condizionare la vita della Città. Chiediamo audizione al Prefetto per esternare tutte le nostre preoccupazioni, tenendo presente che nei prossimi giorni sarà convocato un consiglio comunale per gli assestamenti di bilancio”.

Adriano Falanga

MEDIATORE PER COSTRIZIONE, LONGOBARDI SOTTO ESTORSIONE

Sarebbe stato mediatore tra il clan Loreto Ridosso e gli Aliberti. Ma non lo avrebbe fatto per volontà ma per costrizione. Questo quanto si riesce a comprendere dalle parole dell’avvocato Giovanni Annunziata, legale dell’imprenditore scafatese, che, raggiunto a telefono ha rilasciato una breve dichiarazione, dopo non poche difficoltà e driblig per evitare di incorrere nella violazione del segretorio istruttorio.  Afferma Annunziata: «In riferimento alla posizione del mio assistito Nello Longobardi, più volte richiamato negli articoli di stampa, mi corre l’obbligo di precisare che il signor Longobardi è stato indicato come persona offesa, in ipotesi di estorsione ai suoi danni, dal collaboratore di giustizia Loreto Alfonso. Il mio assistito, sentito dalla Direzione Distrettuale Antimafia nella qualità di testimone assistito, ha confermato tali episodi. Pertanto, gli episodi riportati dagli articoli di stampa e nei quali viene richiamata la presenza del signor Nello Longobardi, potranno essere correttamente interpretati solo alla luce di tali considerazioni». Nella vicenda, l’imprenditore era stato ascoltato dagli inquirenti come imputato di procedimento connesso (da qui la presenza dell’avvocato Annunziata). I fatti da chiarire riguardavano gli “accordi” pre-elettorali del sindaco Pasquale Aliberti che,  secondo Loreto Jr, non aveva garantito a “Funzin” il “grosso appalto” che avrebbe fatto fare al clan il “salto di qualità” rispetto ai Sorrentino (Campagnuoli). Fu a questo punto che Luigi Ridosso si rivolse a Nello Longobardi, noto imprenditore della zona che vantava una particolare influenza sul sindaco: infatti riuscì ad ottenere la nomina di Ciro Petrucci, suo caro amico, alla carica di vicepresidente dell’Acse.  Stesso scenario anche con Nello Aliberti e Giovanni Cozzolino (staffista del sindaco non indagato in questo procedimento): anche loro erano intermediari. La mediazione di Nello Longobardi sarebbe servita a riappacificò Nello Aliberti con i Ridosso-Loreto. La tregua fu siglata nella fabbrica di Longobardi a Rione Ferrovia a Scafati – ex quartier generale dei Loreto – davanti all’immancabile staffista del sindaco Giovanni Cozzolino (non indagato in questo procedimento). Dagli interrogatori di Alfonso Loreto e di Longobardi sarebbe emerso che l’imprenditore era sotto estorsione dei Loreto Ridosso che gli imponevano l’affidamento fittizio delle pulizia della sua azienda. Un pizzo da 200mila euro.  In questo clima di soggezione sarebbe maturata anche la sua mediazione, stante la difesa dell’imprenditore.

L’IDENTIKIT

Aniello Longobardi è un imprenditore molto noto in città e nell’Agro nocerino e nel vesuviano. Ha una grande pasione, che va oltre alla sua ditta Conserve Longobardi,  ed è il basket. L’imprenditore, infatti, è il patron della squadra di basket “Givova” che milita in serie A2.  Molto in vista in città anche per altre sue iniziative, Longobardi è anche zio dell’attuale assessore del Comune di Scafati, nominato da Aliberti, Diego Chirico.  Nel corso degli anni è stato più volte presidente e vicepresidente dell’Acse impegnandosi in politica sia con l’amministrazione Aliberti che con quelle precedenti di centrosinistra. Qualche anno fa, nel 2012, fu coinvolto nell’inchiesta Overline ma poi assolto nel 2014. L’appalto finito nel mirino era quello assegnato dall’Acse nel 2011: non avendo ricevuto alcuna segnalazione da parte della Prefettura di Salerno, in merito ad alcuna interdizione della società Over Line, i dirigenti della partecipata affidarono la gara all’imprenditore di Casapenna, Antonio Fontana. La misura interdittiva antimafia a suo carico fu però emessa nel 2012 dalla Prefettura di Caserta a seguito di un indagine nella quale Fontana risultò essere vicino ai Casalesi.