Gentile Direttore, stiamo vivendo un’estate calda anche dal punto di vista delle emergenze faunistiche. Il mio coinvolgimento in alcuni articoli giornalistici (spesso si tira in ballo l’Atc con molta incompetenza) e il dovere di fare un po’ di chiarezza, mi spinge a scrivere quando segue. Le Atc, appunto, Ambiti Territoriali Caccia, sono deputate ad organizzare e gestire l’attività venatoria nelle aree non protette, esse sono spesso confinanti di parchi. E’ il caso di quella delle aree continue al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e degli Alburni, che dirigo da almeno 11 anni. Questa si compone di un consiglio direttivo in cui sono presenti le voci di varie realtà territoriali, tra cui quella del Parco, ed è impegnata in progetti di interesse venatorio, ma anche riqualificazione ambientale, educazione faunistica e ricerca scientifica. Molti progetti sono sviluppati in accordo con l’area protetta e seguite da esperti universitari (veri). Le iniziative assunte negli ultimi giorni da alcuni sindaci della provincia di Salerno, e le improvvisate interviste giornalistiche rilasciate, contribuiscono a creare confusione, disinformazione sugli argomenti, allarmismi tra la popolazione che non hanno ragione di esistere. Che gli Atc non abbiano dato risposte concrete al fenomeno della emergenza cinghiale e non abbiano assunto iniziative a riguardo è cosa assolutamente falsa. Nel territorio delle aree contigue vi è completa cognizione della consistenza faunistica riguardo il cinghiale, la cui caccia viene svolta da 138 squadre ognuna composta da 25 cacciatori iscritti in apposito albo provinciale. A queste sono state e vengono assegnate specifiche aree territoriali di cui conoscono dettagliatamente la popolazione residente di cinghiale. Questa modalità di gestione venatoria ha consentito e consente, agli organi competenti, di avere un costante controllo della specie in questione. Non si può, quindi, consentire a voci sporadiche di attribuire all’Atc responsabilità di gestione faunistica “inadeguata e carente”, inoltre mai nell’arco degli ultimi 10 anni è stata fatta immissione di tale specie (esiste un decreto regionale che lo vieta e può essere consultato). Suggerisco quindi in questa fase delicata, in cui il fenomeno viene spesso strumentalizzato, a coloro che intendono contribuire alla discussione e al dibattito, di evitare di divulgare dati completamente inesistenti. Vedi il milione di cinghiali presenti nelle aree contigue, vedi gli strani ibridi tra cinghiale e maiale dei nebrodi che vagherebbero per il Cilento. Almeno riguardo l’attuale consistenza e la tipologia dei cinghiali presenti sul territorio, sarebbe istruttivo leggersi i documenti tecnici sviluppati dal gruppo del professore Fulgione (dell’Università di Napoli) in occasione dell’incarico conferitogli dal Parco nazionale del 2009-2012 e per conto della nostra Atc, per la sua consulenza. Sono atti pubblici e facili da reperire prima di sbilanciarsi in acrobatiche interpretazioni del fenomeno. Non si può negare, tuttavia, che in aree protette, si manifesti in modo piuttosto evidente questa problematica. Si deve però tener conto che in base alla legge 394/91 la caccia nelle aree protette è vietata. E per le specifiche finalità di controllo delle specie in esubero, è previsto l’intervento di cacciatori volontari sempre che muniti di tesserino di selecontrollori (cacciatori abilitati ed autorizzati ad intervenire in area protetta). E’ quindi bizzarro leggere di sindaci che aprono all’attività venatoria entro i confini dell’area protetta, non sapendo o fingendo di non sapere del massiccio abbattimento che viene quotidianamente perpetrato dal bracconaggio che raggiunge cifre di migliaia di esemplari l’anno. Neanche questa del bracconaggio, però, è la soluzione. Questa modalità di prelievo, non selettiva, è provato scientificamente non essere efficace per contenere le popolazioni in crescita. Secondo la mia opinione e la mia esperienza, i selecontrollori attuali (circa 90) e quelli in corso di formazione (circa 200) dovrebbero essere impegnati in un continuo monitoraggio del fenomeno, semmai provvisti di altane di avvistamento, ed intervenire in azioni mirate e puntuali laddove l’emergenza si fa più acuta. Ma la soluzione deve anche impegnare l’area periferica al Parco, quella di mia competenza, che deve farsi carico del problema attraverso una soluzione che calibri l’attività venatoria compatibilmente all’emergenza nel vicino Parco. Infatti, se la Regione sviluppasse un calendario venatorio in cui il periodo di abbattimento del cinghiale venisse prolungato di un solo mese, si potrebbero registrare decrementi significativi anche nell’area Parco, come suggerito dalla letteratura scientifica. A volte le soluzioni sono a portata di mano, le informazioni sono state già raccolte in studi scientifici e documenti tecnici, nonché fanno parte della gestione della caccia in paesi che hanno vissuto e risolto queste emergenze. È necessario solo il buonsenso e la concretezza che sembra caratterizzare questa nuova stagione politica regionale. Per questo e per gli altri segnali mi sento di essere ottimista e auspico che “l’emergenza cinghiale” non costituisca per politici ed amministratori locali disinformati lo strumento per farsi pubblicità, non rappresenti l’occasione di gloria per giornalisti approssimativi o l’argomento di discussione per sedicenti professori. Il cinghiale è un’emergenza ecologica e le spese di questa speculazione informativa la pagano gli agricoltori, gli imprenditori e la gente comune.
Armando Liguori Presidente Ambito Territoriale di Caccia delle Aree Contigue (Salerno)